di Antonio Errico
A volte si ha l’impressione che l’orizzonte si sia fatto anche più nebbioso, che le figure di esistenza che solitamente s’intravedono nella lontananza siano diventate ancora più vaghe, più indefinite, che le prospettive si siano abbassate fino ad arrivare ai nostri piedi, che si possa contare soltanto sul giorno che si vive, sull’istante che viene dopo un altro. Il giorno dopo è offuscato dalle nuvole dell’incertezza costante, insistente, strutturale. Dallo spaesamento. Dallo sbalordimento rassegnato. Da un’impressione di astratto e di indeterminato . Dalla paura della crisi, delle crisi al plurale. Da una sensazione forte, stringente, di precarietà e di inadeguatezza. Ci si sente al centro di una condizione di turbolenza e di collisione di fenomeni di natura diversa che suscitano inquietudine. Si ha la sensazione di muoversi su argini che smottano continuamente. Si attraversano territori di significati contrastanti che disorientano. Le nostre vite si costituiscono sempre più esplicitamente, più evidentemente, come microstorie nella macrostoria, come piccolissime maglie di una sterminata, ingarbugliata rete.
Abbiamo già cambiato le nostre coordinate della Storia. Gli eventi si trasformano in metafore, in grandi (o piccole) narrazioni dei destini. Se fino a un certo punto ci siamo confrontati con i fatti della Storia, da un certo punto in poi abbiamo incominciato a confrontarci con le sue metafore.