Come si vede, la recensione conteneva riserve soprattutto nei confronti della prima fase della produzione comiana, che era stata antologizzata dallo stesso autore nella raccolta Poesia (1918-1928), apparsa nel 1929, ma al tempo stesso poneva le basi per un esame critico e obiettivo di essa. Tutto ciò era ben compreso da Comi che, nella lettera inviata da Lucugnano il 18 settembre di quell’anno, nel ringraziarlo dello scritto a lui dedicato, pur esprimendo il suo dissenso “su più d’un punto”, non meglio precisato però (“come è fatale e forse necessario”, aggiungeva), riconosceva al critico il merito di aver basato la sua “diagnosi” su un “esame eccezionalmente onesto e profondo” della sua opera lirica. In particolare gli era grato per aver individuato e messo in rilievo le differenze con la poesia di Onofri:
Indispensabile e direi urgente, – date le confusioni che i più sogliono fare – la distinzione che lei fa fra lo spirito che anima la poesia di Onofri e quello che anima la mia. Lei è riuscito – per il primo – a render chiare e palpabili le differenze e le analogie. Non è merito lieve.
Inoltre si augurava di conoscerlo di persona durante l’inverno alla sua rentrée, a Roma.
Nei mesi seguenti il rapporto tra i due continua e si approfondisce e in un’altra lettera, spedita l’anno dopo sempre da Lucugnano, il tono si fa già più confidenziale, anche se improntato sempre alla franchezza. Bocelli gli aveva inviato un “omaggio”, che doveva trattarsi probabilmente di una copia dell’Almanacco letterario al quale collaborava abitualmente. L’Almanacco del 1933, in particolare, conteneva il suo consueto panorama dell’annata letteraria in Italia relativamente alla prosa[11]. Comi, pur apprezzandolo e definendolo “lucido e sintetico; pieno di verità in particolar modo nelle prime pagine”, non rinuncia nemmeno stavolta a manifestare il suo dissenso riguardo al diverso trattamento riservato da Bocelli alla poesia rispetto al romanzo, che peraltro costituiva l’oggetto specifico di attenzione del critico:
Non sono [naturalmente!] d’accordo con lei quando, dopo aver parlato di Dio, parla dei santi! L’importanza che lei conferisce al romanzo e a (certi) romanzieri mi pare eccessiva come mi pare scarsa l’importanza che lei dà alla poesia e a (certi) poeti. [Si tranquillizzi: non penso né a me né alla mia Casa Lirica!] L’inventario dei nomi e delle opere – [troppi e troppe caro Bocelli – ma lei sa esser generoso] – al quale è stato costretto, nuoce all’unità delle sue vedute organiche e spesso profonde. (Comprendo che non poteva esonerarsi da questa fatica che in altra sede apprezzo al suo valore… cristiano). (Lett. del 23 dicembre 1932).
In allegato, a mo’ di ringraziamento, Comi gli inviava, dedicandoglielo “con amicizia”, un poema sulla “Luce”[12], “vissuto e maturato anch’esso nella luce” – scriveva -, dal momento che il critico aveva dimostrato di apprezzarne un altro nella sua recensione.
Nel 1934 Bocelli si occupa nuovamente del poeta, sulla “Nuova Antologia”, con un lungo e analitico intervento – un vero e proprio saggio critico – nel quale emergono alcune linee interpretative, rimaste a lungo valide nella storia della critica comiana. Egli infatti parte da Poesia del 1929 per arrivare al Cantico dell’Argilla e del Sangue del 1934, approfondendo e sviluppando certe intuizioni contenute nel suo precedente articolo. Ma prima, in una importante premessa, l’autore si soffermava sul momento particolare attraversato in quegli anni dalla poesia italiana, scorgendone la caratteristica principale nel passaggio dalla poesia prosastica, discorsiva, “parlata”, tipica delle correnti primonovecentesche, alla liricità, al “canto essenziale, ma continuo, spiegato”. Di questo “rinnovamento spirituale e letterario” il maggiore rappresentante, a suo giudizio, era Giuseppe Ungaretti e, aggiungeva, “in un ambito diverso, più modesto, ma non privo d’un suo significato e d’un suo valore d’esempio”[13], proprio Comi.
Successivamente il critico individuava varie fasi della poesia comiana, che prendeva l’avvio “da Rimbaud, da Mallarmé e in genere dalla moderna poesia francese”: la prima, che fa capo a Poesia (1918-1928), di tipo panico-sensuale, in cui emerge un impressionismo di tipo ermetico e che porta a una certa monotonia e staticità dell’espressione, nonché a un linguaggio cifrato e intellettualistico; la seconda fase, che ruota intorno alle raccolte del 1930-31, in cui è dato cogliere “un primo riflesso umano di quella cosmicità, un primo inserirsi nella contemplazione dell’universo della persona del poeta”[14]; e infine una fase più recente, rappresentata dalla raccolta Cantico dell’Argilla e del Sangue (1934), che “segna un primo passo verso codesto umanizzarsi della sua visione”[15]. Ora insomma, secondo Bocelli, “il poeta non è più soltanto proteso all’esterno; non più idoleggia, tutto e soltanto sensi, quel mondo minerale e vegetale; ma comincia a trovare i rapporti tra sé e quel mondo, e a ripensarli e risentirli da dentro, come legami fisici e non solamente metafisici”[16]. Allo studio e al ricordo dei simbolisti e decadenti francesi, di D’Annunzio e d’Onofri – osserva ancora il critico – è succeduto lo studio dei classici, specie di Dante, di Petrarca, di Leopardi. E pur permanendo tracce di abbandono meramente musicale, sensuale al verso e alla parola, di immaginismo simbolico e astratto, “l’impeto lirico” di questa poesia è tale che “finisce esso col vincere e col contare”. Questo impeto culmina nella composizione La Grazia, dove, secondo Bocelli, “quella sensualità panica, magica e mistica s’è concretata in un sentimento religioso, cristiano della vita, e sia pure d’un cristianesimo con molte tracce ancora d’immanentismo”[17].
Stavolta Comi, pur ringraziandolo alla sua maniera con immagini di tipo poetico, gli preannuncia “obiezioni severe ” a quella che lui giudica, stranamente, “recensione severa ”, ma soprattutto si mostra un po’ risentito per certi paragoni e associazioni con altri poeti contemporanei, e in primo luogo forse per la sua collocazione su un gradino più basso rispetto a Ungaretti:
Carissimo Bocelli
Con un “calice” di “etereo” moscato di Puglia in mano, e più che mai preso e compreso del “denso” rigoglio degli “evi”, delle stagioni, delle “linfe”, delle “matrici e dei loro “inconsumabili velluti” – io rendo grazie commosse alla tua fatica di critico e di amico…
Ma fra non molti giorni, con la bella sincerità [… umana e… “cosmica”] che dovrai riconoscermi, ti dirò le obiezioni severe che muovo alla tua recensione severa… Non che la severità non mi sia bene accetta e non che non te ne sia vivamente grato – [nessuno più di me ne apprezza l’importanza, la necessità e la virtù…] – ma la vorrei vedere estesa senza partiti presi d’ordine critico e letterario, a tutta la poesia e “non-poesia” alla quale ti richiami. Io non ho, come sai, “posizioni” da difendere ma uno “stato” da attuare. Questa distinzione (o differenza) mi pare che vada messa in evidenza: mi pare che allora risulterebbe evidente che il piano di Comi non è per nulla più modesto di certi pian-terreni letterari, già condannati giustamente nelle tue premesse. Bada che non si tratta di orgoglio – [non sono così povero…] – ma certi paragoni o associazioni (d’idee e di nomi) li trovo fuori fase e fuori fuoco, poiché so di che fuoco ardo. Tu dirai ch’è presunzione o illusione: ma in tal caso sarebbe presunzione o illusione ampiamente giustificata (e… collaudata) dalla qualità e dalla densità fuori serie, non dico di tutta, ma almeno almeno di un quarto della mia fatica poetica. La tua sobrietà – nei miei riguardi – confina con… l’avarizia… Non che te ne voglia, anzi! Ma pensavo che – a tua volta – avessi superato certi pregiudizi e mi venissi incontro con più generoso intelletto d’amore. Ciò non mi dispensa dalla certezza che la prossima volta me ne dirai, sì, di più crude e crudeli, ma nello stesso tempo di più commosse.
Ciò detto, aggiungo – (dovevo dirtelo prima) – che ho apprezzato, come meritano, le tue vedute equilibrate, acute – e non mi è sfuggita l’importanza e la verità (piena) di certe notazioni. (Lett. del 14 ottobre 1934).
Intanto l’amicizia tra i due si rafforza e le missive di Comi contengono spesso informazioni di tipo privato, oltre che letterario. Nella lettera del 23 novembre 1935, ad esempio, il poeta comunicava a Bocelli il suo trasferimento nel Salento e la conversione al cattolicesimo:
Caro Bocelli ti comunico con un po’ di ritardo che ho cambiato indirizzo. Non oso sperare che tu venga a trovarmi – (l’N.B. non è stato soppresso?).
Il mio trasferimento, – che poi non è che un ritorno alla (mia) terra, – è dovuto non tanto alla (prevista) applicazione delle sanzioni, quanto alla scarsa efficienza del mio bilancio. Lungi dal contrariarmi questo mutamento non può che arricchirmi (spiritualmente beninteso) – tanto più che da cosmico tumultuoso sono diventato cattolico irreducibile.
In questo momento sto appunto lavorando a un libro (di prosa) “Aristocrazia del Cattolicesimo ” che devo consegnare a Guanda. È un lavoro preparatorio in vista e in attesa di un nuovo spirito – (il definitivo) – poetico.
In un’altra inviata due anni dopo il poeta informava l’amico dell’imminente pubblicazione del volume Aristocrazia del Cattolicesimo, apparso effettivamente nel 1937 presso l’editore Guanda di Modena:
Uscirà fra una quindicina di giorni (finalmente) il mio libro sul Cattolicesimo annunziato da quasi due anni. Te lo manderò. Per qualche verso dovrà interessarti: poi mi dirai per quale… Troverai dei luoghi-comunissimi da fare arrossire il più timido e il più osservante dei letterati di provincia. Ma io ho la persuasione che se si vuole uscire dal marasma e dalla decadenza bisogna tornare in tutti i campi, in tutti i sensi, in tutte le attività capitali dello spirito alle FONTI. Vecchia storia anche questa, lo so, di cui si è in ogni tempo parlato ma che non si è ancora approfondita. Per conto mio e per quel che mi riguarda intendo di andare a fondo nella mia duplice qualità di cattolico e di poeta. (Lett. dell’11 aprile 1937).
In questi anni, le lettere di Comi si alternano a cartoline di auguri o di saluti oppure ad altre contenenti strofette scherzose come la seguente, inneggiante al buon vino, inviata il 31 ottobre 1934 da Terracina:
Col moscato di Terracina
si può andare fino in Cina
senza fare un solo passo…
Non mancano nemmeno pungenti accenni alla società letteraria del tempo. Nella lettera, già citata, del 23 novembre 1935, il poeta, ad esempio, nell’augurare all’amico “buon lavoro, buona salute”, si raccomandava di trattare il peggio possibile “l’irritabile genus” dei letterati. E in un’altra, inviata da Lucugnano l’11 aprile 1937, riferendosi al progetto, risalente a due anni prima, di un’antologia poetica che i due avrebbero dovuto curare, attribuiva la mancata realizzazione di esso non tanto alla “mancanza di fondi” quanto alla “mancanza di poeti…”.
Ma nelle missive del poeta figurano anche spunti autoironici, come il seguente, contenuto in un biglietto a cui era allegata una sua foto, richiesta evidentemente da Bocelli:
Caro Arnaldo, eccoti la mia faccia da cretino… Non ho altro, per ora… So di aver torto: che diavolo, una possibile immortalità letteraria andrebbe amministrata e curata meglio di così. (Biglietto del 23 febbraio 1935).
In un’altra occasione poi, con riferimento a un lungo periodo di silenzio tra i due, Comi così scriveva:
Caro Bocelli, ti sembrerà straordinario che io non mi sia fatto mai vivo: ti dirò che anche a me sembra straordinario che… tu non mi abbia dato segno di vita!
(che solidarietà nella pigrizia…)
[L’endecasillabo (anche pedestre) è più forte di me!]. (Lett. del 24 dicembre 1944).
Ma questa lettera fornisce informazioni anche sul suo stato di salute, piuttosto precario, oltre che sulle letture di quel periodo:
Sono stato molto malato – (dal 12 del mese scorso). Un “esaurimento” più grave dei precedenti accompagnato dai soliti disturbi – [scompensi, disfunzioni e altre delizie del genere]. Mi sono rimpinzato di cardiotonici e di fosfori “essenziali” – (pesce fresco, “cervellini” d’agnello, fegatini, ecc.). Ora pare che vada meno male: ho ripreso il mio lavoro consueto: Agricoltura – Letteratura (dirò meglio: poesia). Ho ripreso Dante, S. Tommaso: sembrano entrambi due “vient de paraître”! Gente che non teme i secoli – (come direbbe il farmacista!) ma è così…
Ho riletto un po’ di Platone, poi, alla rinfusa, romantici, parnassiani e teologi di prima grandezza. Siamo a fine d’anno: procedo a certi inventari indispensabili.
Inoltre il poeta lo metteva al corrente delle condizioni di vita nella sua terra, invitandolo a trascorrere le vacanze con lui:
Qui la vita, benché molto cara, non è difficile. La Puglia, e in particolare la mia provincia, è una specie di Eden – non c’è né brigantaggio, né borsa molto nera, né partiti, né politicanti! Aggiungi che si trova da mangiare e, infine, che siamo “illuminati” di giorno e di notte… Per gli intellettuali (tipo Bocelli) che amano i “generi di conforto” (come si suole dire) Lucugnano sarebbe una republichetta accettabilissima… Perché non verresti a passar qui le vacanze?… Coraggio.
Oltre che per ragioni di salute, per ragioni d’ordine pratico, passerò l’inverno in questo “angolo” di terra in compagnia di un caro focherello e di alcuni libri essenziali. Se la situazione muterà conto muovermi in primavera.
Intanto i due, fin dal 1944, stavano collaborando a un altro progetto, un’antologia di Arturo Onofri, che viene pubblicata nel 1949 con una Avvertenza firmata da Comi e Bocelli e un Invito a Onofri, a mo’ di prefazione, di Bocelli[18]. Il poeta ne scrive all’amico il 14 luglio 1949, alludendo con la consueta ironia al ritardo nell’uscita del libro:
Caro Bocelli, so che Onofri è uscito – (passeremo alla storia anche noi, non per i nostri meriti letterari, forse, ma per aver battuto – (sia pure senza… colpa o senza merito) – un record di nuovo genere…).
La signora Onofri mi scrive dicendosi felice dell’avvenimento e soddisfatta della tua prefazione…
[In
A.L. Giannone, Tra Sud ed Europa. Studi
sul Novecento letterario italiano, Lecce, Milella, 2013]
[1] Le lettere di Comi, gentilmente inviateci in fotocopia, fanno parte del Carteggio Bocelli, che è conservato, insieme con l’Archivio del critico romano, presso la Biblioteca statale Angelica di Roma. Cfr. Il Carteggio Bocelli. Inventario, a cura di B. Marniti e L. Picchiotti, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1998.
[2] Le residue lettere di Bocelli sono conservate presso la Biblioteca “G. Comi” di Lucugnano.
[3] Per un profilo del critico cfr. E. DE MICHELIS, La critica di Arnaldo Bocelli, in Atti e memorie dell’Arcadia, Roma, Palombi, 1979, s. 3°, vol. VII, fasc. 3, pp. 1-20 e B. MARNITI, Prefazione a Il Carteggio Bocelli. Inventario, cit., pp. IX-XVI.
[4] D. VALLI, Girolamo Comi, Lecce, Milella, 1977, p. 19.
[5] A. BOCELLI, rec. a G. COMI, Nel grembo dei mattini, in “Nuova Antologia”, 16 agosto 1931, p. 535.
[6] Su questo rapporto ci sia permesso di rinviare a A. L. GIANNONE, Comi e Onofri, in Girolamo Comi. Atti del Convegno internazionale (Lecce – Tricase – Lucugnano, 18-20 ottobre 2001), a cura di P. Guida, Lecce, Milella, 2002, pp. 251-270.
[7] A. BOCELLI, rec. cit., p. 535.
[8] Ibid.
[9] Ivi, p. 336.
[10] Ibid.
[11] A. BOCELLI, L’annata letteraria in Italia. La Prosa, in Almanacco letterario 1933, Milano, Bompiani, 1932, pp. 44-56.
[12] Questa composizione, col titolo La mattina, entrerà a far parte della raccolta Cantico dell’Argilla e del Sangue, Roma, Al tempo della Fortuna, 1933, pp. 87-88. Ora è compresa in G. COMI, Opera poetica, a cura di D. Valli, Ravenna, Longo, 1977, p. 257.
.[13] A. BOCELLI, Della poesia contemporanea e di un poeta, in “Nuova Antologia”, a. 69, fasc. 1501, 1° ottobre 1934, p. 472. Questo scritto venne poi ripubblicato, con lo stesso titolo, in “Corriere Padano”, 23 marzo 1935.
[14] Ivi, p. 473.
[15] Ivi, p. 474.
[16] Ibid.
[17] Ivi, p. 475.
[18] Cfr. A. ONOFRI, Poesie, scelte e ordinate da A. Bocelli e G. Comi, Roma, Tumminelli, 1949.