Così, quando si vuole configurare un’immagine del Salento, è alle immagini elaborate da questi ed altri autori del Novecento che si fa riferimento, alle loro sintesi sostanziali, alle loro cornici culturali, antropologiche, sociali. Consapevolmente o inconsapevolmente.
Ora, la contemporaneità si presenta alla letteratura con una sfida epocale. Nei confronti di essa la letteratura pare che avverta una condizione di disagio, di spaesamento, di afasia. Non mancano i tentativi, certamente, e neppure gli esiti apprezzabili. Ma forse non si è ancora riusciti ad individuare la cifra che consenta di mettere insieme gli elementi della natura con quelli della cultura, le coerenze e le incoerenze, le convergenze e le contraddizioni, le realtà con le finzioni. Non si è trovata la forma che permetta di spostare nel tempo questi elementi, collocandoli in un processo di trasformazione per tentare di comprendere se esso stia avvenendo ed avverrà in funzione di un progresso o di una involuzione.
Forse si potrebbe anche pensare che non abbia alcun senso raccontare quello che è, oggi, il Salento. Forse avrebbe senso rinarrare, ancora una volta, la sua storia, cercando di rintracciare nella storia quelle situazioni che si costituiscono come prefigurazioni del futuro.
Nella premessa a La chimera, Sebastiano Vassalli si chiedeva cosa mai potrebbe aiutarci a capire il presente che non sia già nel presente. Poi rispondeva che nel presente non c’è niente che meriti di essere raccontato. Il presente è rumore, diceva: milioni, miliardi di voci che gridano, tutte insieme in tutte le lingue, cercando di sopraffarsi l’una con l’altra. Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo, bisogna uscire dal rumore.
Ecco. Forse è questo che dovrebbe fare chiunque in qualche modo intenda raccontare come diventerà il Salento nel tempo venturo sulla base dell’osservazione e dell’analisi di com’è in questo tempo. Forse dovrebbe uscire dal rumore e individuare da dove provenga il rumore, che cosa lo stia generando, quanto di esso appartenga alla naturale evoluzione dei fenomeni e delle storie e quanto invece sia provocato dal non senso o dal deragliamento del senso. Probabilmente il Salento di questo tempo non è migliore o peggiore di quello che è stato in altri tempi. Però è radicalmente diverso, in quasi ogni suo aspetto. Negli ultimi vent’anni è cambiato antropologicamente. La mutazione antropologica è la cosa più difficile da raccontare. Ancora più difficile è il racconto in presa diretta di questa mutazione, soprattutto quando il divenire risulta accelerato, frenetico, vorticoso.
Allora diventa probabilmente indispensabile uscire dal rumore, darsi il tempo che ci vuole per recuperare la sostanza dei significati, stabilire connessioni, guardare in fondo, proiettare immagini. Formulare nuove categorie di bellezza e di bruttezza. Produrre nuovi simboli o rinnovare gli esistenti. Abolire i luoghi comuni. Tessere nuove storie e caratterizzare nuovi personaggi.
Mettere in scena nuove figure e nuovi paesaggi. Pensare e sperimentare forme inedite di narrazione. Costruire nuove metafore, ulteriori allegorie.
Occorrono visioni e forme nuove per raccontare il Salento, per decodificare, comprendere e interpretare la sua mutazione, per configurare un’ipotesi della condizione di questa terra negli anni a venire. Forse continuerà a cambiare tutto. Forse qualcosa continuerà ad essere com’è. Forse troveremo parole nuove, nuove storie. Forse ci rivolgeremo a vecchie parole, a vecchie storie. Forse non racconteremo niente più. Forse, se Dio vuole, resteremo a guardare l’alba che si alza e il tramonto che cade senza pensare a cosa ed a come raccontare. Ma, ancora, come sempre, si ha fiducia nelle generazioni che arrivano e si avventurano per la strada complicata e fascinosa della letteratura. Hanno l’intelligenza che ci vuole, la competenza che ci vuole. Hanno l’entusiasmo che ci vuole più di qualsiasi altra cosa.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 27 novembre 2022]