I bambini ci guardano non è una delle opere più popolari del regista ciociaro, ma è sicuramente una delle più importanti, perché insieme a Ossessione di Luchino Visconti, apparso nel 1942, segna una svolta nella storia del cinema italiano. Questi due film infatti mettono fine a quella produzione di regime, insulsa e mistificante, che va sotto il nome di cinema dei ‘telefoni bianchi’, e anticipano la grande stagione del neorealismo che si propose di rappresentare i concreti problemi della società nell’immediato dopoguerra.
Anche nell’attività di De Sica quest’opera costituisce la fase di passaggio dalle commediole gradevoli ma disimpegnate che aveva diretto fino ad allora, Maddalena… zero in condotta (1940), Teresa Venerdì (1941), Un garibaldino al convento (1942), ai capolavori degli anni successivi, realizzati con la collaborazione di Cesare Zavattini, come Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1951), Umberto D (1952).
Nell’adattamento cinematografico di Pricò, De Sica rispettò nelle grandi linee la trama, pur con qualche variante nel finale, e soprattutto riprese la felice idea dell’autore di descrivere il mondo degli adulti dal ‘punto di vista’ di un bambino. Da qui deriva quell’atmosfera di mestizia diffusa, che caratterizza tutto il film e che è espressa quasi emblematicamente nel primo piano del piccolo protagonista in lacrime. In più però, rispetto al romanzo di Viola, dove tutto si colloca all’interno delle coscienze e dei rapporti interfamiliari, qui c’è già un’attenzione rivolta alla realtà circostante, anche se mancano accenni precisi al difficile momento storico che stava vivendo allora l’Italia.
Ciò è dovuto soprattutto alla collaborazione alla sceneggiatura di Zavattini, il quale, come scrive Tullio Kezich nel suo intervento compreso nella monografia, suggerì una lettura “cattiva” del romanzo d’origine, trasformandolo in una sorta di “pamphlet antiborghese”. Secondo Massimo Carritano, autore di un altro saggio presente nel libro, è possibile addirittura “interpretare il film come una metafora del disfacimento del fascismo in quanto sistema di pensiero, attraverso due gesti che appaiono ‘rivoluzionari’ per l’epoca: l’adulterio e il suicidio”.
In ogni caso è innegabile che nel film viene rivolto uno sguardo critico alla società italiana di quel periodo e ai falsi valori sui quali era fondata. “De Sica e Zavattini – scrive ancora Kezich ‒ colsero i nessi fra il disagio irredimibile di una coppia intrappolata nel matrimonio e il diffuso sentimento di frustrazione di un’intera società borghese illusa e rassegnata, afflitta da una realtà ‘spiritualmente misera, ingannata nel corso del ventennio fascista da retoriche prospettive di falsa grandezza e oramai sul punto di affrontare la realtà pagandone i conti in sospeso a prezzo di lacrime e sangue”.
Il nome di Viola resta dunque indissolubilmente legato a un momento di profondo rinnovamento del cinema italiano. Ma lo scrittore tarantino merita di essere ricordato, ovviamente, anche per la sua attività in campo narrativo e teatrale. In particolare, non bisogna dimenticare che egli è stato uno degli autori teatrali di maggior successo in Italia negli anni Trenta e Quaranta.
Le sue commedie erano messe in scena dalle compagnie più prestigiose e costituirono autentici cavalli di battaglia per alcuni ‘mostri sacri’ del teatro italiano della prima metà del Novecento: da Emma Gramatica a Ruggero Ruggeri, da Tatiana Pavlova a Renzo Ricci. Viola infatti sapeva costruire perfette macchine teatrali, impostate spesso su ‘scene madri’, nelle quali emergeva il talento di questi grandi attori. D’altra parte lui stesso, in un articolo del 1937, parlava di sé come di uno che conosceva le “armi del mestiere” e rivendicava il “valore professionale” suo e degli altri commediografi di quegli anni.
Forse un modo per rendere omaggio a questo scrittore, di cui si parla così poco ormai, potrebbe essere proprio la ristampa di Pricò, che oggi, grazie al restauro del film di De Sica, è ritornato d’attualità e si può considerare alla stregua di un piccolo classico della narrativa del Novecento.
[In effetti, nel 2012, il romanzo di Viola è stato ristampato a cura di Luigi Scorrano, nella collana “Novecento da leggere”, diretta dallo scrivente, presso Lupo Editore]
[“Quotidiano di Lecce”, 9 luglio 2000; poi in A. L. Giannone, Le scritture del testo, Lecce, Milella, 2004]