Al netto delle differenze dovute alle diverse circostanze in cui le dichiarazioni sono state fatte, colpisce in entrambe il ricorso alla nozione di “difesa di confini”.
Tale nozione implica quella di “offesa”, di “minaccia” portata ai confini e mette in parallelo la presenza delle navi che trasportano migranti con una “invasione” nemica dalla quale bisogna difendersi. Ora, se sul piano puramente linguistico (e retorico) la valenza del paragone può sfuggire, il ricorso alle immagini rende evidente l’assurdità dell’accostamento. Mettiamo perciò a confronto una invasione militare ‘vera’ (e abbiamo scelto l’attacco nazista alla Polonia del 1° settembre 1939) e la presunta ‘invasione’ della “Geo Barents” e della “Humanity1”:

Un ulteriore confronto può essere fatto tra invasioni per mare che contemplano lo sbarco di truppe armate e lo ‘sbarco’ dei migranti da una nave che li ha soccorsi in mare. Un esempio può essere lo sbarco in Normandia.
Un primo momento di queste azioni può essere l’attesa delle ‘truppe’ che aspettano di sbarcare:


Dal confronto emerge chiaramente la disparità delle situazioni e il carattere strumentale del vocabolario utilizzato, teso solo a suscitare impressione nell’ascoltatore attraverso il loro improprio accostamento.
Si spera che tale linguaggio venga presto dismesso a vantaggio di uno che illustri più correttamente i fatti.
Le osservazioni fatte tuttavia non vogliono obliterare i problemi seri connessi con il fenomeno dei migranti, e che consistono soprattutto nella ‘sordità’ dell’Europa ad una redistribuzione ‘automatica’, e non volontaria, dei migranti stessi. Ma questo obiettivo deve essere perseguito con mezzi diversi da quelli del ricatto a spese di persone in difficoltà, per le quali deve valere in primo luogo la legge dell’umanità.