Novecento letterario salentino: temi, problemi, proposte

            Fu importante o non fu importante il sacrificio degli Otrantini? La domanda che fanno all’Italia i promotori di questa strana Associazione non manca di uno stravagante candore. Ma la questione non si riduce nell’aumentare le dosi della riconoscenza storica, fino ad oggi abbastanza avara verso questa eroica cittadina. Si capisce che in una vera storia d’Italia non si potrebbe omettere un episodio come questo. Ma è una più vasta questione di prospettiva. Bisogna dire che la storia d’Italia è scritta unilateralmente secondo una prospettiva centro-settentrionale, cosicché una parte degli Italiani studia solo la storia degli altri senza saper nulla della propria, come se tutto quanto avveniva nel frattempo nel Mezzogiorno non riguardasse che una sorta di territorio coloniale[4].

            In effetti, ancora oggi, sui testi scolastici (manuali, antologie), tanti aspetti, figure, vicende della storia, della civiltà, della cultura, dell’arte, della letteratura meridionale sono ignorati o vengono appena accennati. Per quanto riguarda la letteratura, in particolare, tutti abbiamo constatato e continuiamo a constatare che autori, riviste, momenti importanti della cultura letteraria meridionale sono assenti da trattazioni a volte anche valide e dovute anche a firme prestigiose. In una recente sintesi di storia letteraria, ad esempio, redatta da Cesare Segre, dal titolo Letteratura italiana del Novecento[5], si assiste alla totale eliminazione di un’intera linea di narratori e poeti meridionali (da Alvaro a Silone, da Jovine a Bernari, fino a Bodini e Scotellaro). 

            Ancora più grave ovviamente è la situazione per quanto riguarda la letteratura salentina, sistematicamente ignorata anche nei suoi maggiori rappresentanti, di indubbio rilievo nazionale, non solo sui testi scolastici, ma spesso anche su opere di carattere scientifico (storie letterarie in più volumi, dizionari letterari, antologie poetiche, oltre che enciclopedie). Questo ovviamente, precisiamolo subito, non è un discorso di carattere campanilistico e provincialistico, non vuole essere cioè la rivendicazione di  glorie o gloriuzze locali, ma è invece, proprio secondo l’insegnamento di Marti e Valli, un invito a studiare la letteratura di una regione periferica come il Salento in maniera critica, senza farne l’apologia, e mettendola sempre in rapporto con la cultura nazionale, secondo una prospettiva policentrica dello svolgimento della letteratura italiana.

             Ecco allora la necessità di studiare anche a scuola aspetti, momenti, figure significativi della cultura letteraria nel Salento, perché la letteratura in fondo è una forma di conoscenza della realtà in modi peculiari e sarebbe davvero strano che gli studenti salentini  conoscessero la storia, la cultura soltanto di altre regioni d’Italia e non della loro terra. Tanto più che la Terra d’Otranto è stata una regione  sempre ricca di espressioni artistiche e letterarie a volte anche estremamente raffinate (e basti pensare alla grande fioritura del Barocco). Una regione  che, come si è scoperto in tempi più recenti,  ha saputo recepire le novità in campo letterario e artistico sempre con grande tempestività, a volte addirittura “in tempo reale” come si usa dire oggi.

Per quanto riguarda il Novecento, ad esempio, (e incomincio a passare alle proposte) sarebbe interessante studiare anche nelle scuole salentine i riflessi che hanno avuto da noi alcuni movimenti letterari, per vedere come si sono concretamente manifestati in una regione eccentrica e periferica come la Terra d’Otranto. E si potrebbe incominciare dal primo movimento d’avanguardia del Novecento, di cui fra poco ricorrerà il centenario della fondazione, il Futurismo, che al contrario di quanto si potesse immaginare fino a poco tempo fa ha avuto nel Salento degli esiti imprevedibili. Si pensi che di questo movimento si dibatteva sulla stampa leccese già nell’anno di fondazione, il 1909, e proprio in provincia di Lecce viveva un giovane scrittore, Domenico Frassaniti, che aderisce già in quell’anno, era in contatto epistolare con Marinetti e nel 1910 compone uno Studio critico che è forse il primo in assoluto in tutta Italia. Qualche anno dopo operava a Lecce un’altra figura semidimenticata di artista e letterato, Antonio Serrano, che è uno dei primi seguaci della pittura futurista e di Boccioni in particolare. Ancora di un certo interesse sono gli sviluppi del futurismo nei primi anni Trenta con “Vecchio e Nuovo” di Ernesto Alvino e la costituzione del Futurblocco leccese di Vittorio Bodini e Mino Delle Site, due nomi che poi si affermeranno in campo letterario e artistico. Ma non voglio soffermarmi ulteriormente su questo argomento e sono costretto a rimandare al mio volumetto, L’avventura futurista. Pugliesi all’avanguardia (1909-1943)[6] e alla bibliografia in esso contenuta.

            Ma anche una corrente ardua ed elitaria come l’ermetismo ha avuto nel Salento una certa diffusione. Si pensi alla “terza pagina” di “Vedetta mediterranea” curata da Bodini e Oreste Macrì nel 1941, che durò solo dodici numeri ma ha lasciato una traccia nella storia dell’ermetismo se è vero che Silvio Ramat nella sua monografia del 1969, L’ermetismo[7], in Appendice, tra le riviste inventariate, inserisce anche questa. E così pure il neorealismo, sia pure con un certo ritardo, ha trovato i suoi seguaci nei redattori della rivista “Il Campo” e in altri narratori che successivamente citerò. E ancora, più recentemente, lo sperimentalismo, la neoavanguardia, ecc.

            Ma, a proposito di periodici, anche alcune riviste fondate a Lecce e nel Salento, meritererebbero una considerazione maggiore da parte degli storici della letteratura novecentesca e un’attenzione nelle nostre scuole. Non a caso abbiamo scelto di dare il senso dell’attività letteraria nel Salento riproducendo nella brochure e nella locandina le più rappresentatative  testate della nostra provincia in questo specifico settore, proprio per mettere in rilievo il lavoro di gruppo svolto dagli intellettuali salentini. E la prima, in ordine di tempo, è “L’Albero”, fondata e diretta da Girolamo Comi nel 1949 e andata avanti fino al 1966, per complessivi tredici fascicoli, con la collaborazione di figure di primo piano della letteratura italiana, come O. Macrì, L. Anceschi, Maria Corti, M. Marti, E. Falqui, M. Pierri, che erano anche membri dell’Accademia salentina creata sempre da Comi nel 1948, e inoltre G. Ungaretti, M. Luzi, C. Betocchi, G. Caproni, Gianna Manzini, L. Fallacara e altri[8]. Certo, “L’Albero” è una rivista un po’ anomala  che forse gli storici della letteratura hanno un po’ di difficoltà a inserire nel panorama novecentesco perché nei primi anni di vita, ancora in piena stagione neorealista, preferì occuparsi di problemi esistenziali e latamente religiosi, oltre che specificamente letterari e artistici, piuttosto che di quelli politico-sociali, come era consuetudine di quasi tutti i periodici del tempo. Però forse proprio per questo suo anticonformismo, per questo suo andare controcorrente, dovrebbe essere maggiormente apprezzata oggi.

            Accanto alla prima serie dell’ “Albero”, in ideale e diretto collegamento, deve essere qui ricordata la seconda serie,  a cura di Oreste Macrì e Donato Valli, ripresa nel 1970 e andata avanti fino al 1985. Fedele alla linea ontologica della poesia italiana del Novecento, l’ “Albero” si caratterizza in ogni suo fascicolo come una rivista di alta, composta e raffinata cultura letteraria, sempre lontana da ogni forma di sperimentalismo e dagli eccessi avanguardistici. Articolata in varie sezioni, anche questa seconda serie ha potuto contare su collaboratori prestigiosi, tra i più noti scrittori e studiosi in campo nazionale. Tra i primi basti citare M. Luzi, L. Sinisgalli, V. Sereni, A. Gatto, C. Betocchi, A. Parronchi, R. Bilenchi, P. Bigongiari, S. Solmi, G. Dessì, R. Brignetti, Maria Corti, cioè alcuni tra i maggiori poeti e narratori del ‘900. Tra i critici, ancora P. Bigongiari, C. Betocchi e A. Parronchi, presenti anche in questa veste, e poi C. Varese, S. Baldi, R. Jacobbi e numerosi altri. Sull’ “Albero” sono presenti ovviamente anche i maggiori critici e scrittori salentini di riconosciuto valore a livello nazionale. Tra i primi ricordo M. Marti, M. Tondo, E. Esposito, A. Mangione, E. Panarese, G. Rizzo, L. Galante e altri, oltre ai due curatori, Macrì e Valli. Tra gli scrittori, V. Bodini, V. Pagano, M. Pierri, G. Bernardini, L. Suppressa, L. De Rosa, V. Fiore, oltre ai due dialettali, N. G. De Donno e P. Gatti, che “L’Albero” contribuisce a scoprire e a valorizzare.

            Ma, per continuare nella nostra rassegna, come si fa a dimenticare “L’esperienza poetica”, trimestrale “di poesia e di critica” fondata e diretta da Vittorio Bodini dal 1954 al 1956?[9] Questa rivista di cui uscirono undici numeri per complessivi sei fascicoli, intendeva, com’è noto, documentare la “tendenza di rinnovamento” in atto nella poesia italiana di quegli anni, nella convinzione che essa non fosse morta nel 1945, né che si riducesse a quella neorealista. Non a caso, le polemiche principali furono condotte, da un lato, nei confronti del postermetismo e, dall’altro, del neorealismo marxista, del quale si rifiutava il grezzo contenutismo e l’esplicita compromissione con la politica. Ebbene, “L’esperienza poetica”, in questa sua ricerca di una via nuova della poesia italiana anticipa in un certo senso lo sperimentalismo della ben più nota e studiata rivista bolognese “Officina” di Pasolini, Fortini e Roversi, sempre presente sulle storie e antologie letterarie novecentesche.

            In una dimensione regionale si colloca invece, ma con una sua indubbia dignità,  “Il campo”, fondata da Francesco Lala nel 1955 e da lui diretta insieme a Giovanni Bernardini e Nicola Carducci, fino alla svolta politica del 1960 allorché alla direzione subentrò Michele Maddalo. Questa rivista, come ho accennato prima, si caratterizza per l’impostazione neorealista e meridionalista e il forte impegno civile dei suoi collaboratori. Non a caso Lala, nell’editoriale premesso al primo numero si richiamava all’appello di Vittorini per una “nuova cultura” apparso sul “Politecnico” e, in maniera più esplicita, a Quasimodo, che nel dopoguerra aveva rifiutato i preziosi moduli ermetici della sua prima stagione poetica e si era aperto alla storia, alla società e finanche alla cronaca di quegli anni.

            Ma il fatto forse più sorprendente è che nel 1956 operano nel Salento contemporaneamente ben quattro riviste letterarie, tutte inserite in una dimensione nazionale o regionale,  a dimostrazione della vivacità della vita culturale in questo territorio. Quell’anno infatti vede la luce, a Lecce, ancora un altro periodico letterario, “Il Critone”, che in realtà era una rivista di studi giuridici, fondata da Tommaso Santoro e Cesare Massa nell’aprile del 1956. Dal giugno di quell’anno però ebbe vita un “Supplemento letterario” curato da Vittorio Pagano, che ristabilisce il legame culturale tra Lecce e Firenze, nato ai tempi della “terza pagina” di “Vedetta Mediterranea”, e dà al supplemento una chiara impronta postermetica, anche se non mancano presenze di tipo diverso. Invita alla collaborazione i maggiori rappresentanti dell’ambiente letterario fiorentino, da Luzi a Betocchi, da Bigongiari a Parronchi, ma anche esponenti più giovani aperti allo sperimentalismo poetico, oltre che A. Gatto, B. Cattafi, e alcune presenze locali, come G. Bernardini, L. Suppressa, il giovane E. U. D’Andrea e R. Durante.

            Dopo la straordinaria stagione delle lettere e delle arti salentine degli anni Cinquanta, con le riviste che ho citato, sono venuti  numerosi fogli di letteratura e arte e  altre riviste letterarie che si collocano ovviamente, e per forza di cose, a un livello più basso, rispetto all’ “Albero” e alle altre  ma che pure stanno a testimoniare un fermento notevole: da “Gramma” e “Ghen”, che si aprono al più avanzato sperimentalismo degli anni Settanta, ai periodici fondati da quell’irregolare delle lettere che è stato Antonio Verri con le poche forze, economiche e intellettuali, che aveva a disposizione, come “Caffè Greco”, “Pensionante de’ Saraceni”, “Quotidiano dei poeti” e così via, fino ad arrivare alle testate più significative, come “l’incantiere” (1987-2002), trimestrale del Laboratorio di poesia di Arrigo Colombo e W. Vergallo, e soprattutto “l’immaginazione”, diretto da A. G. D’Oria, che ormai va avanti da oltre ventitre anni (e qui mi limito a citare soltanto i periodici letterari)[10].

            Ma passiamo ora agli autori seguendo un ordine cronologico. I primi due autori salentini che si possono proporre in lettura nelle scuole sono due scrittori che ebbero notevole successo a livello nazionale, il primo nel campo della narrativa e il secondo soprattutto in campo teatrale. Mi riferisco a Michele Saponaro, nato a San Cesario di Lecce nel 1885 e morto a Milano nel 1959 e Cesare Giulio Viola, nato a Taranto da famiglia originaria di Galatina nel 1886 e scomparso a Positano nel 1958. Ebbene, Saponaro fu uno dei narratori più letti in campo nazionale negli anni Venti e Trenta, ma venne apprezzato anche da critici di rilievo come Cecchi, Borgese, Pancrazi e altri. Anche le sue biografie, di Foscolo, Carducci, Leopardi scritte in uno stile accattivante ma assai documentate furono dei best seller dell’epoca, continuamente ristampate da un grande editore come Mondadori che ne fece anche delle riduzioni per la scuola. Di Saponaro abbiamo la fortuna di avere presso il nostro Dipartimento un Archivio con un ricco carteggio che testimonia i rapporti che egli tenne con tanti importanti scrittori e critici del Novecento (da Cecchi a Marinetti, da Prezzolini a Papini, da Moretti a Borgese, Pancrazi, Baldini, ma anche a Verga, Capuana, De Roberto, da lui conosciuti direttamente a Catania, a Pirandello, Montale e tanti altri ancora). Certo, la maggior parte della produzione di Saponaro risulta oggi un po’ datata, legata com’è alla mentalità, ai costumi, alla morale del suo tempo, ma tante pagine, soprattutto quelle in cui emerge questo rapporto con la terra natia, sono ugualmente godibili ancora oggi e quindi potrebbero essere proposte utilmente in lettura agli studenti.

            Cesare Giulio Viola invece fu uno dei più fecondi  autori teatrali degli anni Venti e Trenta, le cui commedie ebbero successo anche fuori d’Italia, ma fu anche un efficace narratore, autore di romanzi come Pricò, Quinta classe  e Pater  oltre che di racconti. Ma lavorò anche in campo cinematografico e fu soggettista e sceneggiatore. Dal suo Pricò  (1924) Vittorio De Sica trasse un film che prelude ai grandi capolavori del neorealismo, I bambini ci guardano (1943),  ma Viola scrisse anche insieme con altri la sceneggiatura di Sciuscià. Ecco su questo scrittore esiste una monografia di Luigi Scorrano, Il polso del presente. Poesia, narrativa e teatro di Viola [11], che può costituire una base di partenza per la sua conoscenza e anche questo aspetto del rapporto letteratura-cinema non è da trascurare.

            Spostandoci di qualche anno arriviamo ora ai nomi più noti e studiati. Il primo è Girolamo Comi (1890-1968), una delle figure più significative della cultura letteraria salentina, la cui Opera poetica è stata curata da Donato Valli[12]. A Comi, com’è noto, venne dedicato anche un importante Convegno nel 2002, i cui Atti costituiscono  la base per futuri approfondimenti[13]. Ecco, proprio su questo poeta c’è una novità che va nella direzione auspicata in questo incontro: infatti è in preparazione un’antologia commentata per le scuole. A questo proposito, vorrei sottolineare l’importanza delle edizioni commentate per le scuole e anche per l’università, perché la poesia dei nostri maggiori scrittori (Comi, ma anche Bodini per fermarci appunto ai nomi più noti) non è per niente facile e un commento che agevoli la lettura da parte di studenti e docenti è quanto mai auspicabile. Anche per le opere in prosa ovviamente, siano esse romanzi o racconti, un sintetico  commento o, quanto meno, un’ampia introduzione, non sarebbe inutile.

            Procedendo cronologicamente e affrontando ormai scrittori nati nel Novecento, ci imbattiamo in quello che deve essere considerato il maggiore scrittore salentino del secolo scorso, Vittorio Bodini (1914-1970). Ho detto scrittore e non poeta volutamente perché Bodini è stato poeta, ma anche narratore, prosatore, critico, organizzatore culturale, sempre di alto livello, oltre che grande ispanista e traduttore. L’assenza sui manuali, antologie, storie letterarie di Bodini, a mio avviso, è quella che pesa di più perché questo scrittore ha operato sempre in una dimensione nazionale e ha saputo dire qualcosa di originale nel panorama letterario italiano, e specificamente nella poesia italiana del dopoguerra. Per fortuna, il nome di Bodini ormai è ampiamente noto nel Salento a livello di lettori comuni, docenti, anche studenti (universitari almeno), ma lo dovrebbe essere molto di più e soprattutto nelle nostre scuole dovrebbe essere una lettura obbligata. In questo caso, i testi esistono, anche se non sono specificamente pensati per gli studenti. Esiste l’edizione di Tutte le poesie, a cura di Oreste Macrì, pubblicata in origine negli Oscar Mondadori[14] e poi più volte ristampata da Besa di Nardò. Ma si tratta di un’edizione con i soli testi poetici preceduti da una lunga, impervia introduzione. Per questo si è pensato, anche in questo caso, di ricorrere alle edizioni commentate e nel 2006 ha visto la luce, a cura di Antonio Mangione, quella della Luna dei Borboni, la prima raccolta di Bodini apparsa nel 1952 presso le Edizioni della Meridiana, uno strumento utilissimo per entrare nel mondo del poeta leccese. Questo volume fa parte di una collana, intitolata proprio “Bodiniana”, pubblicata dall’editore Besa di Nardò, dedicata interamente a Bodini. Finora sono usciti solo due titoli. Oltre all’edizione commentata della prima Luna, nel 2003 ha visto la luce il volume già citato Barocco del Sud, una raccolta di racconti e prose di argomento salentino che ha incontrato un immediato favore del pubblico dei lettori, tanto è vero che il libro è stato ristampato già tre volte. Qui, a mio avviso, ci sono letture gradevolissime anche per i più giovani i quali, guidati opportunamente dagli insegnanti, possono conoscere meglio tanti aspetti della storia, della civiltà, dell’arte, del costume, della società meridionale. Faccio un solo esempio: i due bellissimi reportage sull’occupazione delle terre dell’Arneo che fanno luce più di tante pagine degli storici su un episodio fondamentale della recente storia meridionale e salentina in particolare. Non voglio dilungarmi oltre su Bodini, anche se l’argomento lo meriterebbe. Aggiungo soltanto che dello scrittore leccese abbiamo la fortuna di avere uno straordinario Archivio, dove è conservato quasi tutto quello che scrisse, che contiene anche un Carteggio tra i più interessanti e completi del Novecento, in quanto Bodini ebbe rapporti con le maggiori personalità della cultura letteraria italiana e, in qualche caso, europea (Pound, gli spagnoli, ecc.) tra il 1940 e il ‘70.

            A un livello inferiore, a mio avviso, rispetto a Comi e a Bodini, ma degno ovviamente di attenzione, si colloca un’altra singolare figura di letterato salentino (poeta, prosatore e soprattutto traduttore), Vittorio Pagano (Lecce, 1919 – ivi, 1979). L’opera poetica di Pagano, che avrebbe bisogno di una rilettura, un po’ come si è già fatto per gli altri due,  al contrario di quella di Comi e Bodini, purtroppo non è disponibile. Esiste soltanto un’antologia dei tre poeti salentini curata da Ennio Bonea ma senza alcun commento[15]. Invece qui sarebbe quanto mai necessario un commento, sia pure limitato a una scelta della produzione poetica di Pagano, perché il più delle volte risulta davvero ardua la comprensione delle sue liriche che, com’è noto, sono di ispirazione simbolista. Uno strumento utile può essere la recente monografia di Nicola Carducci, Vittorio Pagano l’intellettuale e il poeta (con quattro poemetti inediti) [16], la prima dedicata a questo poeta. Disponibile invece è la raccolta delle sue prose, Reportages in città e altre prose, a cura di Paola Greco[17]. Un aspetto, quello del prosatore, meno rilevante rispetto a quello di poeta, ma che, per certi aspetti,  presenta forse  motivi di maggiore interesse. Vorrei far notare almeno le prose che danno il titolo al volume nelle quali emerge uno spaccato davvero impressionante, di tipo sociologico e antropologico, della Lecce del dopoguerra.

            Accanto ai poeti, negli anni Cinquanta-Sessanta si afferma anche una generazione di narratori che traggono prevalente ispirazione dalla propria terra e che non sarebbe male far conoscere a scuola anche per illustrare le condizioni di vita, i problemi della gente salentina in quel periodo. Ne ricordo qualcuno: Salvatore Paolo (Carmiano, 1920 – ivi, 1976), che in vita riuscì a pubblicare un solo romanzo, Il canale[18], ristampato recentemente dall’editore Calcangeli [19] che ha pubblicato  anche due romanzi inediti, L’età del ferro [20] e I Fibbia[21] e ha intenzione di continuare nella pubblicazione di tutti gli altri; Salvatore Bruno (Presicce, 1923 – Lecce 2001), autore del romanzo sperimentale L’allenatore (Firenze, Vallecchi, 1963), ristampato nel 2003 dall’editore milanese Baldini Castoldi Dalai; Rina Durante (Melendugno, 1928 – Lecce, 2004), che ha pubblicato un romanzo, La malapianta (Milano, Rizzoli, 1964) e vari racconti, tra i quali Il Tramontana, da cui il regista salentino Barbano trasse un film; Giovanni Bernardini, i cui primi libri, Provincia difficile (1969) e Compare brigante (1973), furono pubblicati dall’editore Adda di Bari proprio in una collana scolastica ed ebbero notevole diffusione. In Provincia difficile, in particolare, sono compresi alcuni reportage su diversi centri della provincia scritti negli anni ‘50, che valsero a Bernardini il Premio Salento e che a mio avviso sarebbero ancora oggi di utile lettura per conoscere la realtà salentina di quegli anni. Come pure spunti interessanti in questa direzione si trovano nelle opere di due giornalisti-scrittori come Gino De Sanctis (Lecce, 1912 – Roma, 2001)  e Aldo De Jaco (Maglie, 1923 – Roma, 2004).

            Ma io non trascurerei nemmeno alcuni narratori più recenti che hanno scritto romanzi storici ambientati nel Salento e dedicati a personaggi e vicende salentine e che quindi possono prestarsi bene all’approfondimento di fatti studiati appunto in storia. Mi riferisco, in particolare, a Antonietta e i Borboni di Emilia Bernardini[22], ambientato nell’Ottocento risorgimentale e dedicato alla rievocazione di una singolare figura di patriota gallipolina, Antonietta de Pace e a Lo scriba di Casole [23] e L’Oratorio della peste [24] di Raffaele Gorgoni, che invece sono ambientati a Otranto alla fine del Quattrocento e a Lecce in pieno Seicento. Ma per citare ancora qualche nome di narratore recentissimo, pure un qualche interesse presso i ragazzi potrebbero suscitare i libri di Livio Romano, e in particolare, il primo, Mistandivò, pubblicato dall’editore Einaudi nel 2001, che descrive proprio la vita e i problemi dei giovani salentini alla fine del primo millennio.

            Un cenno  infine meritano anche i poeti dialettali del ‘900 salentino, da Enrico Bozzi e Giuseppe De Dominicis, il Capitano Blak, al quale due anni fa è stato dedicato un importante Convegno di studi a Cavallino[25], fino agli ultimi e più rappresentativi, come Nicola De Donno di Maglie e Pietro Gatti di Ceglie Messapico, accuratamente studiati da Donato Valli che attualmente sta lavorando all’edizione commentata della sterminata opera poetica di De Donno.

            Insomma, per fortuna, non mancano gli autori salentini del Novecento da leggere nelle scuole e, a mio avviso, sarebbero anche di notevole interesse per i giovani, forse più di tanti scrittori, classici e moderni, che si è costretti a studiare solo perché rientrano nei programmi scolastici.

[In Salento da leggere. Proposte di lettura ed esperienze didattiche tra ‘600 e ‘900. Atti del Seminario di Studi (Lecce 19-20 aprile 2007), a cura di A. L. Giannone e E. Filieri, Copertino, Lupo editore, 2008]


[1] M. MARTI, La vita culturale, in Storia di Lecce. Dall’Unità al secondo dopoguerra, a cura di M. M. Rizzo, Bari, Laterza, 1992, pp. 575-625.

[2] Lecce, Milella, 1985.

[3] Galatina, Congedo, 2003.

[4] V. Bodini, La Puglia contro Pietro Micca, in Barocco del Sud. Racconti e prose, a cura di A. L. Giannone, Nardò, Besa, 2003, p. 128.

[5] Bari, Laterza, 1998.

[6] Fasano, Schena, 2002.

[7] Firenze, La Nuova Italia, 19732.

[8] Sulla prima fase di questa rivista cfr. L’Albero. Rivista dell’Accademia Salentina, a cura di G. Pisanò con una premessa di M. Corti, Milano, Bompiani, 1999.

[9] Si veda la ristampa anastatica L’esperienza poetica (1954-1956). Introduzione e Indici di A. Marasco, Galatina, Congedo, 1980.

[10] Su questo periodo si rinvia a A. L. Giannone, L’attività letteraria nel Salento (1970-2005), in La saggezza della letteratura, Atti del Forum letterario “Puglia letteraria, Mediterraneo, Europa”, a cura di E. Catalano, Bari, Giuseppe Laterza, 2005, pp. 109-125.

[11] Modena, Mucchi, 1996.

[12] Ravenna, Longo, 1977.

[13] Cfr. Girolamo Comi. Atti del Convegno internazionale. Lecce – Trifase – Lucugnano 18-20 ottobre 2001, a cura di P. Guida, Lecce, Milella, 2002.

[14] Milano, Mondadori, 1982.

[15] E. Bonea, Comi, Bodini, Pagano. Proposte di lettura, Lecce, Manni, 1998.

[16] Lecce, Pensa, 2004.

[17] Lecce, Conte, 1996.

[18] Milano, Nuova Accademia, 1962.

[19] Carmiano, Calcangeli, 2004.

[20] S. Paolo, L’età del ferro, con nota introduttiva di G. Invitto Carmiano, Calcangeli, 2005.

[21] Id., I Fibbia, a cura di A. L. Giannone, Carmiano, Calcangeli, 2005.

[22] Cavallino di Lecce, Capone, 1998; Roma, Avagliano, 2005.

[23] Nardò. Besa, 2004.

[24] Nardò, Besa, 2005.

[25] Cfr. Giuseppe De Dominicis e la poesia dialettale tra ‘800 e ‘900, a cura di G. Rizzo, Galatina, Congedo, 2005.

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