«Una poesia pagata con la vita»: Lorca nell’interpretazione di Vittorio Bodini (Seconda parte)

            E ovviamente si potrebbero citare anche altri brani in cui Bodini individua alcune caratteristiche dei drammi lorchiani, come quando scrive che «dietro la società visibile e i suoi ordini vi è dunque quest’altra legge, non più forte, ma più temeraria e feroce che è il sangue».[2] Così pure assai acute e penetranti sono le pagine dedicate all’esame dell’attività teatrale di Lorca, che secondo lo studioso è quella dominante, addirittura più di quella  poetica, perché occupa un ampio arco di tempo nella vita dello scrittore che va dalla sua prima giovinezza a poco più di un mese dalla  morte, allorché finisce di comporre La casa di Bernarda Alba. Con i suoi drammi insomma ― scrive Bodini riassuntivamente ― Lorca ha ridato vita «al grande teatro mediterraneo senza tempo».[3]

            Ma Lorca, come s’è detto, non è solo oggetto di studio per lo scrittore salentino ma anche un esempio, un modello in campo poetico, presente già nelle liriche  che compongono La luna dei Borboni.[4] Qui egli riprende dal poeta andaluso certe tecniche, riportandole però  alla propria visione della realtà. Si tratta sempre cioè  di una personale rielaborazione di quelle suggestioni lorchiane, non di una influenza meccanica e passiva. Faccio solo qualche esempio. Tipicamente lorchiana è l’apparizione improvvisa, “straniante”,  di figure e animali, che a prima vista risulta inspiegabile (il «cavallo sorcigno», che «camminerà a ritroso sulla pianura»;[5] il «gatto» che «trotta magro e sicuro […] nel Sud nero» [6] (e anche questa è un’espressione che ricalca quella, lorchiana, della «Spagna nera»).  E a Lorca risale pure, come s’è detto, la ricchezza e il contrasto di colori esistenti nella poesia bodiniana. Eccone qualche esempio: il «nero» dei gatti, dei capelli delle donne, del catrame, delle monache; il «bianco» della calce, delle case; il «rosso» del sangue, dei peperoni, dei pomodori; il «verde» dei portoncini, delle persiane; il «giallo» dei limoni, delle zucche; il «grigio» delle mura; l’«oro» dell’aria di Lecce. Ma lorchiana è anche l’atmosfera tipicamente mediterranea, che caratterizza le liriche della Luna dei Borboni, con il calore delle passioni e la presenza della natura che sembra  quasi partecipare alle vicende umane.

            Bodini, come s’è detto, continuò per tutta la vita ad approfondire la figura e l’opera di Lorca in numerosi saggi e articoli. Nel 1953, sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» a cui collaborava esce, ad esempio, un bellissimo articolo, Una poesia pagata con la vita, in cui per la prima volta egli affrontava specificamente proprio il tema della tragica morte del poeta. E qui formulava un’ipotesi, un’ipotesi assai suggestiva, che poi ha sostenuto anche successivamente, cioè che Lorca sia stato ucciso per la sua poesia, «una poesia pagata con la vita», appunto. È noto che sulla morte di Lorca sono state formulate varie ipotesi: da quella di una morte per errore a quella di una vendetta tra omosessuali o comunque a causa dell’omosessualità del poeta, dall’ipotesi politica a quella, recentissima, di una faida familiare per motivi di interesse.[7] Ora,  secondo Bodini, l’omicidio di Lorca non è stata una morte per sbaglio, per errore, come sostenevano alcuni secondo i quali «Lorca non era un uomo politico e non apparteneva ad alcun partito; perciò nemmeno la sua morte dovrebbe essere considerata una vendetta politica, ma solo un caso spiacevole, uno sbaglio che  avrebbe travolto lui come ha travolto migliaia di altri oscuri innocenti».[8] E anzi, sempre secondo costoro,  l’ipotesi della morte per motivi politici  sarebbe solo una speculazione, fatta anche «per ingrandire la fama del poeta». No ― sostiene Bodini ― Lorca morì per il Romancero gitano, «pagò col sangue il Romancero gitano », in cui egli prese posizione nettamente per i più indifesi, per i più deboli, per i suoi eroi gitani contro il potere e le angherie della Guardia Civile:

            Federico pagò col sangue il Romancero gitano. Mentre egli era nascosto in Granada, in territorio franchista, dalla radio repubblicana di Madrid trasmettevano il Romance de la Guardia Civil o la Escena del Teniente Coronel de la Guardia Civil a dileggio delle forze dell’ordine che si erano schierate dalla parte della rivolta antiliberale e antirepubblicana. (In realtà, più che con intenzioni di scherno, Lorca s’era occupato della Guardia Civile come un puro limite negativo e antidialettico della libertà e della fantasia dei suoi eroi gitani). Ci fu un ordine e la Guardia civile andò a prenderlo e lo fucilò fra le olivastre e i burroni della campagna granadina, entro orizzonti su cui latrano i cani lunari e, bronzo e sogno, cavalcano di profilo i gitani. Ma qui la morte violò la legge angosciosa e tagliente della sua visione e gli apparve di faccia: il poeta si ricongiunse ai suoi terribili morti assassinati: allo sconosciuto di Sorpresa, a Antoñito el Camborio, a Ignazio Sanchez Mejías.

            Ma, come s’è detto, Bodini continuò per tutta la vita a occuparsi di Lorca e, a parte altri saggi, articoli e traduzioni dispersi su riviste e giornali[9] o inediti, l’altra tappa fondamentale del suo studio di Lorca è costituito dall’antologia I poeti surrealisti spagnoli, apparsa sempre da Einaudi nel 1963, dove lo scrittore introduce per la prima volta la categoria del surrealismo spagnolo, poi fatta propria dagli stessi studiosi spagnoli. Per quanto riguarda Lorca, Bodini parla di due fasi del surrealismo: la prima che fa capo al Romancero gitano (1928), che nasce proprio «dall’incontro di elementi popolari e tradizionali coi densi filtri del surreale e del sogno»,[10] e in cui il poeta  riesce a centrare «l’inconscio collettivo della sua gente».[11] La seconda fase è rappresentata dalla raccolta composta negli Stati Uniti tra il 1929 e il ‘30, Poeta en Nueva York,  che, come scrive Bodini nel saggio introduttivo, «è un grido di appassionata protesta contro l’americanismo e la civiltà meccanica  raffigurate come un ossessionante trionfo della morte».[12] E nel  libro lo scrittore leccese ci dà la traduzione integrale di quest’opera che influisce  sul secondo tempo della sua poesia, che va da Metamor  a Zeta e a La civiltà industriale, dove il surrealismo che contraddistingue queste raccolte si carica di valenze polemiche nei confronti di due fenomeni tipici della società tecnologicamente avanzata, come l’alienazione e la disumanizzazione (due temi presenti anche in Poeta a Nuova York). 

            Ma l’interesse di Bodini per Lorca non finisce qui. L’anno dopo, sul prestigioso settimanale «Il Mondo», diretto da Mario Pannunzio, su cui curava una rubrica intitolata Lettere spagnole, egli ritorna sull’assassinio di Lorca, con un pezzo molto suggestivo, a metà strada tra prosa narrativa e saggistica, La pigna di Viznar. Alla ricerca di Lorca. Qui descrive un viaggio nel paesino dove è sepolto il grande poeta andaluso e dove ben presto si accorge della reticenza degli abitanti  su questo episodio, a distanza ancora di vari decenni. Una volta arrivato sul luogo della sepoltura, raccoglie una pigna da terra per ricordo e la conserva nella borsa della moglie Ninetta, dove il giorno dopo la ritrova completamente aperta. Alla fine riporta un’altra sconvolgente testimonianza sulla morte di Lorca tratta dall’inchiesta di Claude Couffon, quella del grande musicista spagnolo Manuel de Falla,  secondo il quale il poeta venne ucciso nella Capitaneria di Granada a furia di percosse e poi fu sepolto a Viznar dove venne  portato già cadavere:

            In quei giorni gli [a Manuel de Falla] sarebbe stato rivelato sulla fine di Federico un segreto che egli aveva serbato per  tutta la vita, una notizia che rende ancora più  raccapricciante il pensiero della sua morte, ed è che egli fu ucciso a furia di percosse nella stessa Capitanía, e che se fu interrato a Viznar vi  fu portato che era già morto. L’orrore di questa uccisione aveva fatto decidere il maestro granadino ad abbandonare per sempre la sua Granada e la Spagna.[13]

            Sulla biografia di Couffon Bodini ritorna ancora in un articolo rimasto inedito, intitolato significativamente Lorca non morì per errore, in cui conferma ancora una volta la sua tesi che Lorca morì per la sua poesia. Ebbene, qui sostiene che il libro di Couffon fa giustizia della «sporca tesi di Schoemberg [autore di una precedente biografia] intesa a degradare la morte di Lorca dal terreno dell’assassinio politico a quello di una vendetta di omosessuali».[14] E in un brano, concitato e partecipe,  descrive gli ultimi giorni del poeta, sulla base della ricostruzione fattane proprio dall’autore del libro:

            Couffon ricostruisce fedelmente il clima di terrore di quei giorni a Granada, dopo il 18 luglio del ‘36; la città che cade in mano ai militari ribelli, l’arresto, e quindi la fucilazione, del generale Campins, fedele alla repubblica, il popolo che si batte senz’armi, e poi si ritira a morire combattendo nell’Albaicín, con il suo sindaco Montesinos, socialista, marito di Conchita Lorca (che ha chiuso in questi giorni con un tragico incidente lo spietato ciclo della sua vita), le squadre nere che arrivano e strappano gli uomini dalle case, i paseos, gli spari che punteggiano di morte e di terrore le notti granadine. E Lorca che minacciato di morte, sgomento, si rifugia a casa dell’amico Luis Rosales, presso il quale crede d’essere al sicuro, e lì viene preso per ordine d’un deputato della destra cattolica, Ruiz Alonso, portato dapprima in un commissariato, poi alla sede del governo civile, dove il comandante Valdés emetterà la sua sbrigativa condanna. Quindi Viznar, le fosse e i cadaveri senza nome.[15]

            Alla fine parla di un’autentica coscienza politica del poeta, che si rivela soprattutto nel Romancero gitano  e in Poeta a Nuova York  e cita una sua esplicita e significativa dichiarazione in tal senso con la quale mi piace concludere questo intervento:

            «Io sono e sarò sempre dalla parte di quelli che non hanno niente e a cui si rifiuta persino la tranquillità di quel niente. Noialtri ― e alludo agli intellettuali educati nell’ambiente medio di classi che possiamo chiamare agiate ― siamo votati al sacrificio. Nel mondo non sono in lotta semplicemente delle forze umane ― ma delle forze telluriche. Se si mettono davanti a me, in una bilancia, i risultati di questa lotta: di qua c’è il tuo dolore e il tuo sacrificio; di là la giustizia per tutti, anche se con l’angoscia del trapasso a un futuro presentito ma che non si conosce, ebbene io batto il pugno con tutte le mie forze su quest’ultimo piatto».

            No; ― conclude Bodini a questo punto ― per fortuna Federico non è morto per errore.  

[In A.L. Giannone, Tra Sud ed Europa. Studi sul Novecento letterario italiano, Lecce, Milella, 2013]


[1] Id., Prefazione alla Prima edizione di F. García Lorca, Teatro, Torino, Einaudi, 19682, p. VII.

[2] Ivi, p. XV.

[3] Ivi, p. XIV.

[4] Cfr. ora Id., La luna dei Borboni (1952), a cura di A. Mangione, Nardò, Besa, 2006, dove sono accuratamente messe in rilievo queste influenze.

[5] Bodini,  La luna dei Borboni, 1, in Id.,  Tutte le poesie, cit., p. 101.

[6] Id., La luna dei Borboni, 6, ivi, p. 103.

[7] È questa l’ipotesi formulata recentemente in un documentario diretto  da Emilio Ruiz Barrachiña, basato sugli studi di Miguel Francisco Caballero. Ne ha dato notizia C. Taglietti, Sulla morte di Lorca l’ombra di una faida familiare, in «Corriere della Sera», 20 agosto 2006. Una ricostruzione dell’assassinio di Lorca, in occasione del settantesimo anniversario, è stata fatta anche da L. Villari, García Lorca. Odiato dalla Spagna tradizionalista e trucidato con un colpo alla nuca, in «la Repubblica», 4 agosto 2006. 

[8]  Bodini, Una poesia pagata con la vita, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 20 agosto 1953.

[9] Cfr., ad esempio, La formazione poetica di F. García Lorca, in «Letterature moderne», a. VII 1957, n.1 pp. 60-69; Due capitani di poesia, in «Critica d’oggi», 1961, n. 2-3 pp. 126 sgg.; Teatro Club / Ritratto di García Lorca, a cura di G. Albertazzi, Teatro Eliseo, Roma, 13 dicembre 1966 (programma).

[10] Bodini, Saggio introduttivo  a Id., I poeti surrealisti spagnoli, nuova edizione a cura di O.Macrì, Torino, Einaudi, 1988, p. XCVII.

[11]  Ivi, p. C.

[12] Ivi, p. CII.

[13] Id., Alla ricerca di Lorca. La pigna di Viznar, in «Il Mondo», a. XVI 1964, n. 43, 27 ottobre, p. 16.

[14] Bodini, Lorca non morì per errore, dattiloscritto inedito conservato nell’Archivio Bodini custodito presso la Biblioteca Interfacoltà dell’Università degli Studi di Lecce

[15] Ivi.

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