Nel 1946 escono invece il primo articolo sul poeta spagnolo e le prime traduzioni di alcune liriche lorchiane. Lo scritto, dal titolo García Lorca e Antonio Machado, apparso sulla «Fiera letteraria», è una recensione, piuttosto negativa, di un libro di un critico francese, Louis Parrot, carente, secondo Bodini, proprio nell’esame di Lorca, «la cui singolare aura d’avventura così poetica che umana ― scrive ― mette in moto un meccanismo di corsive commozioni che presto sopraffanno quell’alta occasione, sommergendola in una sensuale liricità che ha già una sua tastiera predisposta ed esclusiva».[3] Si salvano solo, a suo giudizio, una trentina di pagine del libro, nelle quali l’autore conduce un suggestivo esame della «carta di variazione dei colori», mettendoli in rapporto con i vari periodi e le raccolte lorchiane. Ma il cromatismo di Lorca ― osserva ancora Bodini ― era stato già studiato da un altro critico, José Bergamin, e quindi non si può attribuire il merito di questa scoperta a Parrot. A tale proposito, vale la pena di ricordare che lo scrittore leccese, in un articolo su Lazarillo de Tormes, definirà Lorca «il poeta più cromatico che il mondo conosca».[4] E il cromatismo, la vivacità, la contrapposizione coloristica sono anche, com’è noto, una delle caratteristiche principali della sua stessa poesia.
Le prime traduzioni bodiniane di testi poetici lorchiani appaiono invece su un’altra rivista romana, «Poesia», diretta da Enrico Falqui, nel luglio del 1946, in un numero dedicato alla poesia spagnola novecentesca, dove figuravano anche traduzioni di Macrì e di altri ispanisti quali Cesco Vian, Luigi Panarese e Francesco Tentori. Bodini traduce quindi composizioni di Lorca, ma anche di José Moreno Villa, Pedro Salinas, Gerardo Diego, Rafael Alberti, Vicente Aleixandre, Manuel Altolaguirre e Dionisio Ridruejo, cioè di alcuni tra i maggiori poeti spagnoli del ‘900 alcuni dei quali venivano presentati per la prima volta al pubblico italiano. Per quanto riguarda Lorca, traduce cinque poesie: Il pianto, Arietta di Malaga, Poema doppio del lago Edem, Ballata dell’acqua di mare, “Gazzella” della Presenza terribile .[5]
Ma ormai siamo arrivati alle soglie di un avvenimento decisivo per Bodini, il viaggio in Spagna, che inizia a metà di novembre del 1946, allorché egli si reca a Madrid, avendo ottenuto una borsa di studio dal Ministero degli esteri spagnolo per svolgere attività di ricerca presso l’Istituto italiano di cultura della capitale spagnola. La permanenza nel paese iberico che doveva durare sei mesi si protrasse per quasi tre anni, perché Bodini, dopo essere rientrato a Roma nell’estate del ‘47, ritornò in Spagna dove rimase fino all’autunno del 1949, facendo svariati mestieri fra cui quello dell’antiquario e anche, come racconta lui stesso, del contrabbandiere.
In questa sede non è possibile
dilungarsi su questo argomento da me già affrontato nell’Introduzione al volume Corriere spagnolo, in cui ho raccolto i
reportage e le prose di argomento spagnolo, pubblicati dallo scrittore leccese
tra il 1947 e il 1954.[6] Vorrei accennare soltanto al senso
complessivo che ha avuto questa esperienza per Bodini. Ebbene, in questi anni
egli conduce un’esplorazione della Spagna attraverso le manifestazioni più tipiche del folclore, del “colore locale”
spagnolo: il capodanno a Puerta del Sol, il flamenco, la corrida, i serenos, il combattimento dei galli, la
processione della Settimana santa, l’Escorial, le rappresentazioni del Don Giovanni di Zorilla, il cognac di
Jerez. Tutte queste manifestazioni però, che per tanti altri cronisti erano
solo il pretesto per brillanti pezzi di colore,
gli servono per conoscere meglio il paese visitato, la realtà
più profonda e segreta della Spagna, la
«Spagna nera», come lui stesso scrive nell’articolo citato su Lazarillo de Tormes, riprendendo proprio
un’espressione di Lorca..
A Bodini cioè non
interessa la Spagna visibile, ma quella “invisibile”,
la sua dimensione stregonica e metafisica. E la guida ideale in questa
ricognizione della realtà profonda del paese visitato è proprio Lorca, che gli
insegna a scavare nell’ «inconscio
collettivo» del popolo iberico, a cogliere le «radici della terra e del
sangue», partendo proprio dalle manifestazioni più tipiche del folclore
nazionale.
E di Lorca, oltre che le poesie, Bodini ha presente soprattutto alcune prose, che sono esaminate da lui in un importante articolo del 1954, intitolato I segreti di Lorca. Si tratta di una recensione delle Prose tradotte in italiano da Carlo Bo, in cui egli si intrattiene soprattutto su due testi, due conferenze per l’esattezza, che, a suo giudizio, ci rivelano appunto i segreti del suo lavoro. La prima è Teoría y juego del duende, l’altra è la conferenza sulle ninne nanne, Las nanas infantiles. E a questo proposito si sofferma su alcune tecniche della poesia lorchiana: la presentazione di personaggi e cose di profilo come nei sogni e l’apparizione improvvisa di misteriose comparse che non hanno alcun rapporto con l’argomento trattato. Ora, entrambe queste tecniche ― scrive Bodini ― «egli le aveva scoperte e ricavate precisamente dal suo studio delle ninne-nanne».[7] Il poeta salentino quindi nella sua esplorazione della Spagna segue il metodo lorchiano, non fermandosi alla superficie, ma andando molto più in profondità. Così facendo riesce a scoprire anche le numerose affinità che legano il popolo spagnolo a quello meridionale e salentino in particolare. E infatti, come Lorca nei ballerini gitani di flamenco, così egli riconosce anche nella sua gente la presenza del duende, cioè di un demone, di uno spirito della terra, che abita nei più oscuri recessi dell’anima e si manifesta all’improvviso, come, ad esempio, nei canti dei carrettieri e dei braccianti del Sud, nei quali sembra affiorare talvolta «una pena disperata di vivere, di avere un cuore e non saperne che fare».[8]Insomma, in Spagna Bodini, come scrive egli stesso nella poesia Omaggio a Góngora, «trova il suo Sud».[9]
Come ho già detto, in questa sede non posso soffermarmi sulle prose spagnole, ma ne vorrei citare almeno una dedicata proprio a Lorca, Amici e nemici per il poeta andaluso, in cui emerge pienamente l’autentica passione di Bodini per l’autore del Romancero. Nel brano iniziale si assiste a una accesa discussione tra alcuni detrattori spagnoli di Lorca, descritti ironicamente («dei poetini impiegati pei ministeri», «un giovanottino dai baffetti sottilissimi e untuosi, da topino caduto nell’olio») e l’io narrante, cioè lo stesso scrittore, che difende vivacemente il poeta, rivendicandone la grandezza:
Si meravigliavano dunque, e mi domandavano conto, della sproporzionata fortuna toccata in Europa alla poesia di Lorca.
― Che cosa ci abbiate trovato in Lorca non si riesce a capire. Il folclore andaluso! È possibile che una critica così scaltrita come pretende di essere quella europea di oggi si sia lasciata incantare da un fatto talmente grossolano?
Faceva rabbia che fosse proprio un andaluso a parlare così. Era un giovanottino dai baffetti sottilissimi e untuosi, da topino caduto nell’olio.
― Lorca ― risposi ― è come Manolete, che soggiogava il suo toro al punto da potergli accarezzare le corna e voltargli le spalle e fare con esso tutti i giochi che gli piacesse. Il toro di Lorca è l’Europa. E mentre noi vaghiamo ciechi nell’interno delle nostre stesse midolla, il sangue, e gli oggetti dei suoi canti erano cose terribilmente serie e assolute. No, non è l’Andalusia, è la coscienza che l’Europa s’è ormai ridotta a quell’ultimo dimenticato baluardo; sono tutte le regioni d’Europa che gridano vendetta nell’Andalusia di Lorca. […]
― È tutta una montatura politica ― saltò su un altro poeta. ― È uno sfruttamento che l’antifascismo ha organizzato sulla morte di Lorca. Se l’avessero ammazzato i rossi nessuno si sognerebbe di considerarlo fra i più grandi poeti contemporanei.
― Fra voi e quelli che l’hanno ucciso ― diss’io ― c’è solo una differenza, ed è che quelli almeno non scrivevano sonetti.[10]
Alla fine del reportage ritorna ancora Lorca, sorprendentemente. Bodini conosce una ballerina di flamenco, Conchita, la quale possiede una copia del Romancero gitano, che una volta aperto gli riserva una sorpresa. Leggiamo il brano conclusivo:
Di fatti era proprio il Romancero gitano, in un’edizione di Losada. Senonché sulla fotografia del poeta ch’è di fronte alla copertina interna c’era qualcosa che certo non avrei potuto prevedere. L’Andaluso universale sorrideva profondamente, denti bianchi, occhi lustri e irrequieti ― due cuccioli neri, felici di ruzzare pei prati dell’universo ―, ma in corrispondenza della bocca, un po’ di traverso, si vedeva la traccia lasciata dal rossetto d’un bacio di donna.
Guardai le labbra di Conchita per confrontarle con quella forma.
― Sì, son le mie ― ammise sorridendo e un po’ vergognosa. Si rinfrancò quando vide che non mi prendevo gioco di lei.
― È un poeta straordinario. Me gusta horrores. Forse lei che è straniero non lo conosce ―. Ci pensò appena un attimo: ― Si tenga il libro, glielo regalo. Io lo conosco a memoria.
Il giorno dopo entrai da Clan e ne comprai un’altra copia. Poi passai da un fioraio e gliela feci mandare con dei garofani. Rossi, naturalmente. Il suo libro lo porto sempre con me. Mi serve da barometro. Certi giorni guardo quella fotografia e mi sembra quella d’un burattino o d’una comparsa con un baffo che si è staccato e pende da una parte. Altri giorni mi sembra una luna pallida e brillante su cui vaghi tremante e un po’ storta una piccola nuvola di sangue.[11]
[In A.L.
Giannone, Tra Sud ed Europa. Studi sul
Novecento letterario italiano, Lecce, Milella, 2013]
[1] Sull’attività di Bodini studioso della letteratura spagnola cfr. O. Macrì, Vittorio Bodini ispanista, in Aa. Vv., Le terre di Carlo V. Studi su Vittorio Bodini, a cura di O. Macrì, E. Bonea, D.Valli, Galatina, Congedo, 1984, pp. 625-679. Sul periodo romano dello scrittore ci sia permesso di rinviare a A. L. Giannone, Bodini prima della “Luna”, Lecce, Milella, 1982, pp. 41-66.
[2] In Bodini, Tutte le poesie (1932-1970), a cura di O. Macrì, Milano, Mondadori, 1983, p. 240.
[3] Id., Federico Garcia Lorca e Antonio Machado, in «La Fiera letteraria», a. I 1946, 16 maggio, p. 4.
[4] Id., Lazarillo de Tormes, in «La Gazzetta del Mezzogiorno», 20 ottobre 1951.
[5] In «Poesia», 1946, fasc. V, pp. 130-135.
[6] Cfr. Bodini, Corriere spagnolo (1947-54), a cura di A. L. Giannone, Lecce, Piero Manni, 1987.
[7] Id., I segreti di Lorca, in «Nuova corrente», a. I 1954, n. 2 p. 122.
[8] Id., Flamenco, in Corriere spagnolo (1947-54), cit., p. 43.
[9] In Bodini, Tutte le poesie, cit., p. 131.
[10] Id., Amici e nemici per il poeta andaluso, ivi, p. 72.
[11] Ivi, p. 74.