A me, sinceramente, non preoccupa la stabilizzazione demografica, mi preoccupa la condizione economica e sociale degli umani in età riproduttiva. Prima si facevano tantissimi figli e non ci si preoccupava gran che del loro futuro. Mia nonna materna si chiamava Ottavia… le sue sorelle Teresa, Maria e Anita emigrarono negli Stati Uniti negli anni venti. Un fratello morì in Russia, un altro ce la fece e restò nel paese natìo, gli altri due morirono presto. La famiglia del nonno paterno, Vittorio, emigrò in Scozia e in Argentina. In Garfagnana c’era la fame e i nonni materni cercarono fortuna a Genova. I miei nonni paterni, genovesi, erano di famiglie con una fecondità meno prorompente: in città si figliava già meno che in campagna.
È inutile, per il saldo demografico, fare tanti figli se questi se ne vanno dal paese. Ora ci dicono che facciamo pochi figli: dobbiamo contribuire alla crescita del popolo italico, figliando come un tempo. Domandina: se avessimo fatto il doppio dei figli e il numero di italiani fosse cresciuto, invece di stabilizzarsi, ci sarebbe più lavoro? I salari sarebbero più alti? Si sarebbe fermata la fuga dei cervelli?
Osservare il calo demografico, non basta. Bisogna identificarne le cause. Per l’Italia credo che le cause siano evidenti: i giovani non hanno speranze per il futuro ma hanno un’istruzione sufficiente per tenere sotto controllo la propria fertilità, cosa che non sanno fare altre popolazioni con poche speranze. “Loro” sono disperati ma continuano a figliare e poi fuggono a cercare vite migliori, come facevano i miei nonni materni. Vengono qui, e fanno i lavori più umili e sottopagati. Contribuendo, inconsapevolmente, alla precarietà e ai bassi salari dei “nativi”. Perché assumere un italiano con diritti sindacali e un salario decente, quando puoi assumere un africano ricattabile che puoi licenziare quando vuoi, pagandolo una miseria?
Tornando alla capacità portante, comunque, è ovvio che gli italiani non possono diventare cento milioni. La crescita demografica, come quella economica, non può essere infinita. E se non può essere infinita, e si vive più a lungo, è ovvio che si debba arrestare. La nostra si è arrestata. Una specie che si è battezzata Homo sapiens dovrebbe essere in grado di governare la stabilizzazione, sia economica sia demografica, ed essere conscia che esistono limiti. Invece non lo capiamo e non governiamo razionalmente i limiti naturali della nostra espansione demografica ed economica. Se un individuo cresce troppo di peso si deve mettere a dieta: il suo peso deve decrescere. C’è differenza tra dieta e carestia. La dieta è un regime alimentare studiato scientificamente per riportare il peso entro certi limiti che garantiscano il benessere. La carestia è la mancanza di cibo dovuta a cause esterne, non pianificate da chi ne soffre.
La nostra popolazione è sottoposta a una dieta o a una carestia? Intanto diciamo che è sovrappeso, come lo è la nostra economia. Troppi umani e un’economia di rapina portano alla decrescita del capitale naturale, e questo porta a disastri incontrollati. Ci dobbiamo mettere a dieta. Non lo stiamo facendo in modo razionale. La stabilità economica e la stabilità demografica non prevedono crescite infinite, ma si lascia che siano cause esterne a determinare i limiti. Quando ci sono le crisi ci sorprendiamo. Inconsapevoli che le decrescite siano causate da crescite eccessive. La transizione ecologica richiede che ci si renda finalmente conto che tutto ha un limite, incluse l’economia e la demografia. Dobbiamo imparare a rispettare i limiti.
[Il blog di Ferdinando Boero ne “Il Fatto Quotidiano” online del 3 novembre 2022]