Attraversiamo un presente che non ha o che ha deboli tensioni di proiezione e di prospettiva. Quasi che ogni promessa di un domani sia diventata difficilmente credibile e praticabile. Quasi che qualcosa di estremamente complesso e non ancora decifrato costringa a vivere rannicchiati mentre il tempo ci scorre addosso e intorno, con la sua solita indifferenza, con una più sfrontata prepotenza. L’orizzonte delle attese si è abbassato fino ad arrivare ai nostri piedi, e si è fatto opaco. In alcuni casi si è sfrangiato e in altri lacerato il senso dell’appartenenza ad una dimensione collettiva che in qualche modo costituiva un riferimento e suscitava una sensazione di protezione. Ci si ritrova a riformulare costantemente concetti , prassi, tradizioni, a subire crisi e traumi senza precedenti. A preoccuparsi del futuro.
Però futuro è la conoscenza impossibile. Futuro è tutto quello che non sappiamo, che possiamo soltanto prefigurare, immaginare, sognare. Eppure è con il pensiero costante del futuro e per il futuro che giorno dopo giorno percorriamo i territori della nostra esistenza. Giorno dopo giorno andiamo verso un modo di essere diverso. Forse non c’è un solo istante in cui ciascuno di noi non pensi al futuro. Non c’è gesto che si compia senza l’idea di una conseguenza, e la conseguenza è qualcosa di futuro. Non c’è apprendimento che non si proietti nel futuro, e non c’è insegnamento.
Questo è un tempo che richiede e talvolta impone di tentare l’ulteriore, attraverso un processo costante di ricerca che esclude ogni situazione di definitività, di acquisizione compiuta e completa.
Questo è un tempo che ha necessità di una riformulazione e di una rifondazione di significati, di nuove modalità di relazione con gli accadimenti e con le cose, con la Storia, la cultura, la formazione, con le trasformazioni che si verificano rapidamente, vertiginosamente. E’ un tempo che ha bisogno di un modo diverso di mettersi in confronto con la scienza e con le arti, con la realtà e con la fantasia.
Il passato, con la sua rete di esperienza, con il prodotto della elaborazione concettuale, con la sistematizzazione della conoscenza, costituisce una condizione essenziale per ogni nuovo pensiero, per ogni nuova forma di conoscenza.
Spesso ci si chiede, per diverse e ovvie o meno ovvie ragioni, quali saperi saranno necessari, essenziali, indispensabili, nei tempi che verranno, che cosa sarà richiesto o preteso dai contesti del sociale, dall’universo del lavoro, dalle condizioni che caratterizzano le relazioni interpersonali.
Rispondersi alla domanda che riguarda i saperi che saranno essenziali domani l’altro o probabilmente anche domani, diventa pressoché impossibile o comunque oltremodo azzardato.
Le risposte che si possono dare alla domanda sono talmente tante che alla fine del conto si ha l’impressione che una risposta non si sappia dare. Ma se proprio ci si volesse ostinare a trovarne una, forse si potrebbe far riferimento a quello che Eugenio Montale disse in “Auto da fé”: “la cultura è quello “che rimane nell’uomo quando ha dimenticato tutto quello che ha appreso”. Per cui si può – o si deve?- sempre ricominciare ad imparare tutto di nuovo. Con la stessa disponibilità, la stessa tensione, la stessa passione di quando si è imparato una volta.
Per poter andare avanti è necessario saper guardare indietro. Ci si orienta per le nuove strade con l’esperienza di quelle già percorse. Ogni progresso è una derivazione, una conseguenza del passato. Quindi dell’esperienza. Sempre. Quando si improvvisa la soluzione di un problema, prima o poi il problema si ripresenta, a volte anche in maniera prepotente, aggressiva; accerchia, pone l’assedio, impone la resa senza condizioni.
In fondo si potrebbe dire che non si conosce mai davvero nulla se non si è disposti a rinunciare al conosciuto per poterlo conoscere di nuovo.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 16 ottobre 2022]