di Antonio Errico
A volte si ha l’impressione che sia rimasto tutto uguale a com’era in altro tempo: trenta, venti anni fa. A volte sembra che tutto sia cambiato, che nulla sia e possa essere più nel modo in cui è stato. Ma il tempo passa per questo: per cambiare tutto intorno a noi e forse anche tutto dentro di noi, lasciandoci soltanto il desiderio che almeno l’essenziale resti come vogliamo.
Ma le nostre abitudini sono cambiate. Le nostre forme di pensiero, i nostri linguaggi, le nostre grandi e piccole narrazioni, le nostre giornate, gli strumenti del comunicare: molte cose, forse tutte sono cambiate. Anche il nostro confrontarci con i fatti della Storia, con le sue coordinate e le sue metafore, con le sue rappresentazioni.
Ci sono due cose, però, che più di tutte le altre sono cambiate: la nostra memoria e la nostra idea di futuro. Le due condizioni sulla quali si fonda il presente di ciascuno.
Forse la nostra memoria è diventata più fragile. Si è sfilacciata. O forse si è distratta, perché siamo attratti, coinvolti, probabilmente anche travolti dalle circostanze del presente. Talvolta si avverte la sensazione che la memoria non serva a niente, né soggettivamente né collettivamente.
Eppure avere memoria significa poter confidare nella conoscenza che viene dall’esperienza personale o mediata dalla formazione culturale.
Significa poter disporre di quel patrimonio di saperi che coloro venuti prima di noi ci hanno lasciato come eredità preziosa.
Poi, il futuro.