di Antonio Errico
Memoria e racconto non sono la stessa cosa ma nessuna delle due può esistere senza l’altra.
Il racconto ha bisogno della memoria per potersi sviluppare; la memoria ha bisogno del racconto per poter sopravvivere, per potersi rigenerare.
In fondo, da sempre, non si racconta altro che la memoria: perché non si può narrare altro che quella, nei suoi riflessi, nelle sue stratificazioni, nelle sue implicazioni.
Aveva ragione Gabriel Garcia Marquez quando diceva che la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
Ma ormai da decenni si sostiene che questo tempo non ha più memoria e di conseguenza non ha più racconto. Oppure che memoria e racconto si sono contratti in una sinteticità che non di rado diventa inespressiva, che la memoria subisce l’assedio e il saccheggio dell’oblio senza opporre alcuna resistenza, che tutto ha principio e conclusione nell’istante che arriva e che va via, che dell’esperienza resta poco e a volte nulla perché non si tramanda, non passa da generazione a generazione.
Si dice così, e probabilmente è un po’ falso e un po’ vero nella stessa misura e nello stesso tempo, ma ovviamente tutto o comunque molto dipende dalla nostra interpretazione dei fatti e dei fenomeni che accadono intorno a noi, dalle sensazioni, dalle percezioni che accadono dentro di noi, dal nostro pensiero e dalle modalità che adottiamo per confrontarci con i tempi che cambiano e con le conseguenze dei mutamenti.