Il rapporto vero e proprio col poeta romano si svilupperà soltanto qualche anno dopo, allorché Comi si trasferirà nella capitale e stabilirà con lui uno stretto sodalizio, destinato a dare i suoi frutti nelle successive raccolte poetiche. E infatti, in un articolo intitolato Poesia cosmica, nel quale prendeva in esame, non a caso, un libro di Onofri, Simili a melodie rapprese in mondo, apparso postumo nel 1929, e la prima antologia poetica di Comi, Poesia, dello stesso anno, Sergio Solmi accomunava il poeta salentino a quello romano nell’«aspirazione ad una lirica cosmica e metafisica». «Anche la poesia del Comi – continuava Solmi nel suo scritto, nel quale pure non nascondeva certe sue riserve verso di essa – appare prender le mosse da un senso panteistico dell’universo, intento a cogliere negli aspetti naturali simboliche e misteriose “corrispondenze”, in un’aura di trionfante panismo magico»[5].
Da allora, quasi tutti i recensori delle raccolte poetiche comiane, soprattutto di quelle dei primi anni Trenta, hanno accennato al rapporto con Onofri, mettendone in rilievo gli aspetti comuni, ma indicandone anche le differenze. Giovanni Del Pizzo, ad esempio, sempre nel 1929 e ancora in una recensione a Poesia, rinveniva «un fenomeno comune alla poesia così del Comi come dell’Onofri» nella «cosmicità spinta sino al punto da trovare continuamente materia di poesia nel mondo vegetale e minerale»[6], anche se in un successivo intervento, prendendo in esame il Cantico del tempo e del seme (1930), notava una differenza tra i due nella «natura essenzialmente tragica»[7] di Onofri.
Anche Enzo Palmieri, nella recensione a Nel grembo dei mattini (1931), sosteneva che «il Comi è sulla via aperta dall’Onofri; ne prosegue e ne svolge più d’un motivo, più d’una forma; ne eredita e matura più d’una bellezza ed idea, e, per conseguenza, anche più d’un difetto di stile e d’espressione»[8]. Per Palmieri, «l’iniziatismo dello Steiner», che era «a sfondo della poesia onofriana», sia pure rielaborato ed assimilato e anzi «rivissuto come un’esperienza originale», si dilegua «dietro le rievocazioni panteistiche del Comi»[9]. Ma il critico notava anche una differenza tra i due poeti: l’uno, Onofri, «ha tendenza, misticamente espressa, ad un cristianesimo sostanziale, laddove l’altro è più paganamente sensitivo e indulgente a misteriose forze della natura, dove però non è presente un’idea divina»[10].
Anche Ruggero Orlando, in un articolo del 1931, insisteva sulle somiglianze tra i due, che rintracciava acutamente in una «reazione contro le immagini ornamentali, in una fede nel valore magico e attivo del verbo, in una sensazione panica del proprio spirito continuamente immedesimato col mondo»[11]. Ma anch’egli metteva in rilievo alcune «profonde differenze», come ad esempio «l’incompatibilità verso gli elementi terrestri», che fu tipico di Onofri, di contro alla «prepotenza», all’ «attivismo»[12] di Comi, che pur nello slancio mistico non rinuncia mai alla sua umanità, alla sua sensualità.
Ma tra i critici che con maggiore fedeltà e acutezza hanno seguito l’itinerario poetico di Comi, un posto di primo piano spetta certamente ad Arnaldo Bocelli, che insieme con lui curerà proprio, nel 1949, un’antologia di Onofri. Ebbene Bocelli, in una recensione a Nel grembo dei mattini (1931), più che le somiglianze col poeta romano, a suo avviso più estrinseche che intrinseche, metteva in evidenza alcune differenze fondamentali. Intanto, a suo avviso, Onofri appaga la sua religiosità, il «suo particolare senso del divino» nelle dottrine esoteriche, che sono alla base della sua poesia, mentre in Comi «l’apparente religiosità non è se non un modo di essere della propria sensualità – sensualità, per intenderci, non erotica ma cosmica – che trova in quelle dottrine, o in alcuni elementi di esse, l’appoggio e l’incentivo più propizi»[13]. Inoltre, per Bocelli, Onofri è sempre partecipe, attore «della molteplice vita del mondo, dell’eterno travaglio della creazione», Comi invece «è semplice spettatore, e spettatore compiaciuto, anche se il suo compiacimento non è senza intima lotta»[14]. Ancora, mentre in Onofri è sempre presente, implicita la realtà terrena, anche nei momenti nei quali egli sembra voler «evadere in un sopramondo», in Comi «l’astrazione dalla realtà empirica è costante»[15]. Da qui deriverebbe, come dirà in seguito Bocelli, la sua monotonia tematica e stilistica.
Nei suoi successivi interventi, Bocelli ha confermato sostanzialmente questa interpretazione, fino ad affermare, nell’ ultimo e riassuntivo di essi, la recensione a Sonetti e poesie di Comi, curato da Vittorio Vettori nel 1960, riferendosi alle prime raccolte o plaquettes, dal Lampadario (1920) a Boschività sotterra (1927):
Non c’è – come invece in Onofri, al quale Comi fu per molto tempo vicino, derivandone più di un accento – il riflesso umano di quella cosmicità, quel sentirsi uno nel molteplice, persona contingente, con quel tanto di terrestre che tale contingenza porta con sé, pur nell’atto di effondersi nella vita del tutto; ma c’è, prima che l‘abbandono alla natura e al creato, l’abbandono, appunto, ai vocaboli[16].
Da qui il tono monocorde della poesia di Comi, la sua monotonia tematica, la sua immobilità, il suo intellettualismo stilistico, che poi sono diventati, anche questi, luoghi comuni della critica. Tuttavia Bocelli notava una umanizzazione della sua poesia a partire dalle raccolte dei primi anni Trenta, nelle quali «si fa sempre più palese la tendenza a dare a codeste sensazioni e immagini una più intima risonanza, e ad istituire riferimenti o rapporti fra quella cosmicità e la “persona umana” del poeta»[17], proprio, potremmo aggiungere, sull’esempio di Onofri.
Tralasciando altri recensori delle raccolte di Comi, che hanno fatto il nome di Onofri, sempre però con brevi accenni (da Jovine[18] a Borlenghi[19], da Titta Rosa[20] a Betocchi[21] e ad altri ancora[22]), sono stati poi alcuni studiosi dell’opera comiana a soffermarsi su questo rapporto. Oreste Macrì, ad esempio, in un saggio sulla poesia italiana contemporanea, dopo aver inserito i due poeti in una «cosmogonia poetico-filosofica concettualmente ordinata, senza magia nera e senza surreale»[23], ha sostenuto che Comi «non fu seguace, ma coinventore in assoluto, per destinazione propria alla magia sacramentale della Parola-Verbo assunta nella concezione paolina del Corpo Mistico e della rigenerazione cristiana»[24].
Sulla stessa linea, di una pariteticità, se così si può dire, e non di una subalternità tra le due esperienze, si muove Gianni Pozzi, che nelle pagine dedicate a Comi del suo volume, La poesia italiana del Novecento, parla «di una coincidenza o coinvenzione, se non di poesia, almeno di poetica»[25] e, stabilendo un confronto tra i due, sostiene che Comi è
più conseguente, più ortodosso di Onofri per quel che riguarda il contenuto poetico, ma (e per ciò stesso) più monotono, meno libero, per quel che riguarda la forma poetica.
Non c’è in lui l’audacia delle immagini, quell’azzardo mallarmeano che in Onofri è spesso una sfida al significato logico dell’espressione, ma che, nelle sue rare riuscite, raggiunge la potenza dei versi indimenticabili, ripidissimi, di Terrestrità del sole [26].
Anche Donato Valli, nei suoi numerosi studi su Comi, ha affrontato varie volte questo problema, giungendo alla conclusione che la premessa comune sulla quale si incontrano Comi e Onofri è la «valutazione aristocratica dell’intelligenza», insieme «con il gusto classico e architettonico della lirica e con la concomitante formazione simbolistica francese», e prima ancora «dell’orfismo e dell’antroposofismo, sicuramente pregnanti nella poetica onofriana, ma molto attenuati nella progressiva meditazione comiana, corretta da un’insorgenza di sempre più rilevante impronta cristiana»[27].
Questi, dunque, in sintesi, i punti salienti del dibattito critico sul rapporto Comi-Onofri, che si possono così riassumere: il nesso è inconfutabile ed è fondato sulla concezione cosmica della poesia, tipica di entrambi, ma accanto ad alcune somiglianze esistono pure delle differenze nella concreta realizzazione poetica, messe in evidenza quasi da tutti.
Cerchiamo allora di ricostruire questo sodalizio partendo innanzitutto dai dati biografici e bibliografici. Nell’immediato dopoguerra, 1920 o giù di lì, Comi, com’è noto, si trasferisce a Roma e qui entra in contatto con alcuni esponenti dell’ambiente culturale romano, da Onofri a Nicola Moscardelli, da Julius Evola ad Adriano Tilgher, con i quali stabilisce un intenso sodalizio sul piano umano e letterario[28]. La conoscenza diretta di Onofri dovette avvenire immediatamente dopo il suo arrivo nella capitale, se già nel 1925 il poeta romano appone la seguente dedica a Comi sul suo volume Nuovo rinascimento come arte dell’Io, che come gli altri di Onofri sono conservati nella Biblioteca di Lucugnano: «A Girolamo Comi / con cuore fraterno / e col più alto saluto del- / l’avvenire. / Arturo Onofri / Roma, novembre 1925». Altre due dediche a Comi compaiono su altrettante raccolte poetiche di Onofri: Terrestrità del sole («al Poeta e all’amico / Girolamo Comi / affettuosamente / Arturo Onofri / febbraio 1927») e Vincere il drago! («Al fratello Poeta / Girolamo Comi / con la solidarietà del- / l’avvenire / Arturo Onofri / Roma, nov. 1928»).
Questo sodalizio era diventato così stretto che il poeta romano, sempre nel 1928, gli aveva proposto, come rivela Comi nel suo Ricordo di Arturo Onofri[29], di fondare con lui e qualche altro una rivista di poesia, che doveva chiamarsi «Lirica», come la precedente rivista di Onofri del 1912. E comunque i due poeti, insieme a Moscardelli, fondarono e diressero le Edizioni «Al tempo della Fortuna», nelle quali uscirono i libri di entrambi.
Altri documenti diretti di questa amicizia, che io sappia, non esistono. Notevole piuttosto, e prolungatosi nel tempo, è stato l’impegno di Comi per tenere sempre vivo il nome dell’amico e valorizzarne l’opera. Già subito dopo la sua morte, il 13 febbraio 1929 alle «Stanze del libro» di Roma, Comi tiene una Commemorazione di Arturo Onofri, che l’anno successivo venne raccolta nel volume vallecchiano Arturo Onofri (1885-1928) [30]. Promosso dallo stesso Comi, insieme ad altri amici, questo volume contiene una serie di ricordi, testimonianze e interventi di varie personalità sullo scrittore scomparso. Nel 1935, sull’ «Italia letteraria», pubblica un breve articolo intitolato Nel VI anniversario della morte di Arturo Onofri [31], in cui rivendica senza mezzi termini la grandezza della poesia onofriana, quasi inconciliabile con il suo tempo, e ne auspica la riscoperta. Nel 1949, insieme ad Arnaldo Bocelli, cura un’antologia di Poesie di Onofri[32], nettamente orientata nelle scelte verso l’ultima fase della produzione poetica onofriana, che coincide col ciclo della Terrestrità del sole, al punto che si può considerare un’antologia relativa quasi esclusivamente a quest’ultimo periodo. Sempre dal 1949 e fino all’ultimo numero della prima serie, nel 1966, pubblica sull’ «Albero» una serie di testi inediti di Onofri[33], che gli venivano forniti dalla vedova del poeta, Bice, con la quale intrattenne una fitta corrispondenza. Nella breve nota introduttiva al primo di questi, Selva spirituale, ritorna sul tema della «solidarietà» col poeta romano, «fondata – scrive – su alcune persuasioni capitali che ognuno di noi andava per vie diverse consolidando circa la funzione complessa e fulgida del fatto poetico e della poesia»[34]. Nel 1953 dà il via alle Edizioni dell’ «Albero» proprio con un volume di Onofri, le Letture poetiche del Pascoli [35]. Nel 1961 pubblica infine, su «La Fiera letteraria», il citato Ricordo di Arturo Onofri, che l’anno successivo comparirà pure sull’ «Albero». Insomma, si può dire che, da un punto di vista culturale, l’amicizia con Onofri, anche se è durata pochi anni a causa della prematura scomparsa del poeta romano, avvenuta nel 1928, è stata quella che ha contato di più per Comi e ha dato i suoi frutti più a lungo, se è vero che proprio in quest’ultimo scritto, a proposito della teoria onofriana della «Parola-Verbo», che, come vedremo, è centrale anche nella poetica comiana, così scrive: «Le stesse parole di Onofri, che rileggo oggi, e che riporto più sotto, non hanno perduto per me nulla del loro valore per quel che riguarda la funzione della poesia» (Ricordo, p. 49).
E veniamo ora agli effettivi punti di contatto tra i nostri due poeti. Dirò subito che la mia indagine, che ha portato a risultati, per certi aspetti, sorprendenti, anche se non del tutto inattesi, si è basata soprattutto sul confronto tra gli scritti di poetica di Onofri, dell’ultimo periodo di Onofri naturalmente, e quelli di Comi, che maggiormente permettono di vedere i collegamenti esistenti. In particolare, di Onofri, ho preso in esame il fondamentale volume Nuovo rinascimento come arte dell’Io [36], dove, com’è noto, sono contenute le premesse programmatiche della sua poesia, liberamente ispirate all’antroposofia di Steiner, mentre, di Comi, ho tenuto presenti soprattutto i volumi Poesia e conoscenza [37] e Necessità dello stato poetico [38], oltre ai due scritti già citati su Onofri, del 1929 e del 1961, e a qualche altro. Infatti è soprattutto la poetica di questi due scrittori a presentare numerose affinità, mentre diverse sono le concrete realizzazioni poetiche, come già avevano visto alcuni recensori di Comi.
Il primo punto di contatto, allora, riguarda proprio la concezione della poesia che avevano Comi e Onofri e che non rientrava in nessuno dei canoni esistenti nella lirica italiana. Da qui la loro radicale diversità, la loro alterità, e quindi anche la loro sostanziale estraneità, rispetto alle correnti letterarie novecentesche, che Pasolini, nella recensione a Spirito d’armonia scambiò invece per un congenito «ritardo» di Comi[39], e di conseguenza la difficoltà che la critica in genere ha sempre trovato nel dare una esatta collocazione all’opera del poeta salentino.
[In A.L.
Giannone, Tra Sud ed Europa. Studi sul
Novecento letterario italiano, Lecce, Milella, 2013]
[1] M. Tondo, Girolamo Comi, in Novecento. I Contemporanei, Milano, Marzorati, 1979, vol. IV, p. 3570.
[2] D. Valli, Girolamo Comi, Lecce, Milella, 1977, p. 138 (nota 77).
[3] R. Canudo, Lettres italiennes, in «Mercure de France», n. XCIX, 1° ottobre 1912, p. 656.
[4] D. Valli, Girolamo Comi, cit., p. 70.
[5] S. Solmi, Poesia cosmica, in «L’Italia letteraria», a. II, n. 9, 2 giugno 1929.
[6] G. Del Pizzo, Poeti nuovi, in «La Rassegna», a. XXXVII, n. 3, giugno 1929, p. 294.
[7] G. Del Pizzo, Libri di poesia, in «La Tribuna», 12 luglio 1930.
[8] E. Palmieri, Nel grembo dei mattini, in «L’Italia che scrive», maggio 1931, p. 138.
[9] Ibid.
[10] Ibid.
[11] R. Orlando, Un poeta: Comi, in «Il Tevere», 9 luglio 1931.
[12] Ibid.
[13] A. Bocelli, Scrittori di oggi, in «Nuova Antologia», vol. CCLXXVIII, serie VII, 16 agosto 1931, p. 535.
[14] Ibid.
[15] Ibid.
[16] A. Bocelli, Itinerario di una poesia, in «Il Mondo», 19 luglio 1960; poi in Letteratura del Novecento, Caltanisetta-Roma, Sciascia, 1975, p. 266.
[17] Ibid.
[18] Cfr. F. Jovine, che a proposito di Cantico dell’argilla e del sangue, scrive: «Ho pensato a Arturo Onofri leggendo queste poesie […] Ma se l’affinità con l’Onofri è vera (cfr. Vincere il drago, Terrestrità del sole) è più che altro di tendenza. Il Comi ha una fantasia più cupa e tetra; la sua sensibilità è tesa con un triste spasimo verso il senso più riposto e necessario delle cose; il Comi non ha quegli abbandoni effusi, colorati, gioiosi che qualche volta l’Onofri aveva» (Due poeti, in «I diritti della scuola», a. XXXV, 8 aprile 1934).
[19] Cfr. A. Borlenghi: «Ben diverso costruttore, l’Onofri ha saputo veramente compiere un cammino solare, il Comi compie la sua ascensione su un delicatissimo filo d’argento» (Cantico dell’argilla e del sangue, in «Campiano», a. V, n. 5, maggio 1934).
[20] Cfr. G. Titta Rosa: «La poesia del Comi a qualcuno ha potuto ricordare quella di Onofri; e ciò per una generica affinità di materia; le differenze però sono più evidenti delle somiglianze» (Panorama della poesia italiana d’oggi, in «La Lettura», a. XXXVI, n. 11, 1° novembre 1936).
[21] Cfr. C. Betocchi: «Il riferimento quasi obbligatorio che vien fatto di solito alla poesia di Onofri quando si parla di quella di Girolamo Comi non potrebbe bastare, da solo, a giustificare una costanza di ispirazione, di impegno, di resultati come quello che vediamo, a quarant’anni dal suo principio, in quest’ultimo libro del Comi» (Un caso letterario, in «Il Popolo», 15 ottobre 1954; poi col titolo Poesia di Comi: un caso particolare, in C. Betocchi, Confessioni minori, a cura di S. Albisani, Firenze, Sansoni, 1985, p. 293).
[22] Per altri momenti del rapporto Comi-Onofri nella critica cfr. C. Caporossi, Ascetico narciso. La figura e l’opera di Girolamo Comi, Firenze, Olschki, 2001, pp. 19-24.
[23] O. Macrì, Caratteri e figure della poesia italiana contemporanea, Firenze, Vallecchi, 1956, p. 46.
[24] Ibid.
[25] G. Pozzi, La poesia italiana del Novecento. Da Gozzano agli Ermetici, Torino, Einaudi, 19703, p. 107.
[26] Ivi, p. 106.
[27] D. Valli, Girolamo Comi, cit., p. 18.
[28] Su questo momento dell’attività comiana cfr. G. Montonato, Comi-Evola. Un rapporto ai margini del fascismo, Galatina, Congedo, 2000.
[29] In «La Fiera letteraria», a. XVI, n. 51, 24 dicembre 1961, p. 5; poi in «L’Albero», fasc. XII, n. 36-40, 1962, pp. 48-54. D’ora in avanti, per questo scritto di Comi, useremo l’abbreviazione Ricordo.
[30] Arturo Onofri (1885-1928), Firenze, Vallecchi, 1930. La Commemorazione di Arturo Onofri, fatta da Comi (d’ora in avanti Commemorazione), è alle pp. 3-16.
[31] In «L’Italia letteraria», a. X, n. 26, 5 gennaio 1935.
[32] A. Onofri, Poesie, scelte e ordinate da A. Bocelli e G. Comi, Roma, Tumminelli, 1949.
[33] Di Onofri apparvero sull’«Albero» i seguenti scritti: Selva spirituale, fasc. II, n. 2-4, aprile-dicembre 1949, pp. 3-6; Su Giovanni Pascoli (a proposito di due volumi postumi), fasc. V, n. 13-16, gennaio-dicembre 1952, pp. 3-11; Pagine claudelliane di Arturo Onofri, presentate da Vittorio Gui, fasc. VIII, n. 23-25, luglio-settembre 1955, pp. 46-53; Frammenti inediti da «Saggi e Teorie», fasc. X, n. 30-33, gennaio 1957-giugno 1958, pp. 96-110; Una pagina inedita di A. Onofri, fasc. XIII, n. 41-44, 1966, pp. 131-132. Sull’«Albero» inoltre uscì pure il saggio di O. Macrì, Il magistero poetico di Arturo Onofri, fasc. VII, n. 19-22, settembre 1954, pp. 3-12.
[34] G. Comi, Nota introduttiva a A. Onofri, Selva spirituale, cit., p. 3.
[35] A. Onofri, Letture poetiche del Pascoli, con una prefazione di E. Cecchi, Bari, Edizioni de «L’Albero», 1953.
[36] A. Onofri, Nuovo rinascimento come arte dell’Io, Bari, Laterza, 1925 (d’ora in avanti NR).
[37] G. Comi, Poesia e conoscenza, Roma, Al tempo della Fortuna, 1932 (d’ora in avanti PeC).
[38] G. Comi, Necessità dello stato poetico, Al tempo della Fortuna, 1934 (d’ora in avanti NSP).
[39] Cfr. P. P. Pasolini, Una linea orfica, in «Paragone», a. V, n. 60, dicembre 1954; ora in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti e S. De Laude, con un saggio di C. Segre, Milano, Mondadori, 1999, tomo I, pp. 572-581.