di Antonio Devicienti
Alcune serigrafie del 1997 di Eduardo Chillida, opere di calviniana leggerezza, omaggiano il nome e l’opera di Johann Sebastian Bach rendendo visibile la musica, facendosi onde d’inchiostro capaci di attuare la sinestesia tra udito e vista.
Onde di suono e di luce, armonie di vuoto e di pieno, circoli che si rifrangono in linee spezzate, radure del silenzio.
Che la musica di Bach sia antica come il mare e sempre nuova come le sue onde lo dice lo stesso Chillida commentando le proprie serigrafie; quelle architetture di suoni e di spazi, quell’interrogare il bianco del foglio, il silenzio tra i suoni chiamano la mente sgranandone la sua disponibilità al vedere e all’ascoltare, facendone una sequenza di stazioni nelle quali il pensiero si esalta e s’innalza.
Anse d’inchiostro, serpentine, segni che sembrano allontanarsi e nello stesso tempo attrarsi, recinti di spazio (o di suono) ma aperti sull’infinito.
Tutto quel bianco (tutto quel silenzio) non è né ferito né offeso da quelle rigature dell’inchiostro (del suono) che hanno sempre l’umile postura di menti umane che cercano il sublime: lo cercano, senza la certezza di saperlo raggiungere.