Ovviamente, occorre chiarire che il futurismo “pugliese” non ha, non può avere, i caratteri del futurismo lombardo o piemontese o fiorentino, e nemmeno di quello napoletano o siciliano, ma ha una sua peculiarità che, per essere pienamente compresa, deve essere messa in rapporto alle tradizioni culturali e alla specifica situazione locale, come d’altra parte occorre fare per qualsiasi altra regione italiana dove questo movimento si sviluppò. Esso costituì, in ogni caso, per Fallacara come per Carli, per Notte come per Casavola, per Serrano come per Bodini, per Delle Site come per Abbatecola, indipendentemente dai risultati conseguiti, un riferimento di “modernità”, l’unico forse che questi scrittori, artisti e musicisti potevano avere dentro o fuori la Puglia in quegli anni, anche se poi ciascuno di loro interpretò il futurismo a suo modo e alcuni lo superarono subito dopo facendo altre scelte più congeniali al proprio temperamento e alle proprie convinzioni artistiche e ideologiche.
Esemplari, in tal senso, per fermarci al campo letterario, le vicende di Luigi Fallacara e di Mario Carli che si formano nel fervido ambiente culturale della Firenze primonovecentesca, dove pure viveva e operava in quegli anni un altro importante esponente pugliese del futurismo, il pittore Emilio Notte. Fallacara, com’è noto, che a Bari scriveva poesie di gusto ancora carducciano, si “converte” sia pure a metà al futurismo, come dichiarò egli stesso in un articolo apparso su “Humanitas”, a cui collaborava, e sulla rivista fiorentina “Lacerba”, tra il dicembre del 1914 e il maggio del ’15, pubblica otto prose liriche caratterizzate dal forte impressionismo e dalla spiccata tendenza analogica e sinestetica, in linea con le scelte espressive del futurismo “fiorentino”. Carli invece, nel capoluogo toscano, passa dal giovanile estetismo dannunziano dei primi scritti allo sperimentalismo di un romanzo come Retroscena (1915) e a un’opera come Notti filtrate (1918), che sembra anticipare la scrittura automatica dei surrealisti. Inoltre, nel 1916, insieme ad altri, fonda “L’Italia futurista”, fino a diventare uno degli esponenti principali, a tutti gli effetti, del movimento marinettiano.
Diverso il caso di due personaggi come Domenico (Mimì) Frassaniti e Antonio Serrano, i quali invece vivevano in Puglia e non ebbero nemmeno il tempo, a causa della morte prematura, di sviluppare compiutamente le loro idee. Né l’uno né l’altro erano interessati ai temi più tipici del futurismo, cioè a quelli ispirati alla civiltà moderna, alla macchina, alla velocità, ma vedevano in esso soprattutto la possibilità di un sia pur generico “rinnovamento” in campo letterario e artistico. Frassaniti, che era entrato in rapporto epistolare con Marinetti, si entusiasmò a tal punto di questo movimento che vi aderì già nel 1909 e l’anno successivo gli dedicò un ampio e documentato studio critico, rimasto inedito, che è il primo in assoluto in campo nazionale. Serrano, che è stato uno dei primi, misconosciuti seguaci della pittura boccioniana nel Mezzogiorno d’Italia, ha lasciato anche un lungo diario che contiene numerose composizioni in versi e in prosa influenzate dal futurismo “moderato” di Papini e Soffici.
Anche Michele Saponaro, come Frassaniti, si avvicinò al futurismo, che peraltro era lontanissimo dalle sue concezioni letterarie, soprattutto a causa del personale rapporto d’amicizia con Marinetti, il quale l’aveva invitato a collaborare alla sua rivista “Poesia”. Lo scrittore salentino, infatti, che nel 1909 viveva tra la natia San Cesario di Lecce e Napoli, dove si era laureato in giurisprudenza, il 14 febbraio di quell’anno pubblicò sul periodico napoletano “La Tavola Rotonda”, di cui per alcuni mesi fu il redattore-capo, il Manifesto di fondazione, in anticipo quindi di sei giorni sul quotidiano parigino “Le Figaro”.
Continuando in questa rapida rassegna dei principali esponenti del futurismo pugliese in ambito letterario, ci imbattiamo in Franco Casavola, musicista e scrittore, il quale dal movimento marinettiano riprende nelle sue opere soprattutto i temi dell’assurdo e del grottesco. Ad esempio, in Avviamento alla pazzzzia (in copertina con quattro zeta), del 1924, un singolare «romanzo-poema», come lo definì Marinetti nella prefazione, si narra di un’esperienza di tipo iniziatico che compie il protagonista alla ricerca di una via di salvezza dal dolore e dall’angoscia dell’esistenza. Ma questa ricerca non approda a un risultato positivo, anzi sfocia in un fallimento, perché alla fine si scopre che la sofferenza è ineliminabile dalla condizione umana. Nemmeno la morte, paradossalmente, può salvare l’uomo dal dolore, perché l’anima, che è la «vera nemica» dell’uomo, può sopravvivere al corpo. La pazzia diventa allora l’estremo rifugio a questa intollerabile situazione.
Per altri ancora, come per i giovani fondatori e redattori del periodico barese “± 2000” (1932-‘33), Mario Amendola, Carlo Perrone Capano, Mario Carando, tutti studenti universitari, il futurismo rappresentò soltanto un interesse limitato a un breve periodo della loro vita, dal momento che successivamente ciascuno di loro prese altre strade, abbandonando l’attività letteraria. Anche per questo non hanno lasciato tracce consistenti in questo campo, al contrario di Vittorio Bodini, il quale, com’è noto, è diventato uno dei maggiori poeti italiani del secondo Novecento, oltre che un grande ispanista.
Bodini, che nel 1932 era ancora un irrequieto studente liceale, fondò a Lecce un gruppetto futurista, il Futurblocco leccese, movimentando per poco più di un anno, insieme ai suoi compagni, con polemiche e iniziative di vario genere, la tranquilla vita del capoluogo salentino. Più di una volta abbiamo chiarito che la sua adesione al futurismo, che allora comunque era tutt’altro che finito e anzi attraversava una fase quanto mai vivace, ha soprattutto il senso di una istintiva reazione all’ambiente arretrato e conformista della provincia che, a suo giudizio, bisognava «svecchiare» e mettere al passo con i tempi, come scrisse nel Manifesto ai pugliesi della provincia, da lui firmato insieme a Elèmo d’Avila.
Di Bodini, relativamente a questo periodo, ci restano diversi articoli, due manifesti e alcuni testi creativi in versi e in prosa, apparsi sui settimanali “Vecchio e Nuovo”, diretto da Ernesto Alvino, e “La Voce del Salento”, diretto dal nonno materno Pietro Marti. Nelle sue composizioni, l’originale rielaborazione di tematiche tipiche dell’aeropoesia andava congiunta a una già compiuta assimilazione delle tecniche simboliste e della lirica italiana primonovecentesca, con esiti di indubbio rilievo nel panorama della poesia futurista degli anni Trenta, anche se è sbagliato mettere a confronto questa ancora esile produzione con quella della maturità. In essa sono presenti i motivi topici del futurismo come, per esempio, l’opposizione tra elementi dinamici della vita moderna e componenti tradizionali e “passatiste”, e ancora l’esaltazione della velocità e dei nuovi mezzi di trasporto (l’aeroplano, il treno, l’automobile), i quali però sono visti soprattutto come strumenti di fuga dal mondo soffocante della provincia o, altre volte, come semplice pretesto per la creazione di estrose immagini, ricche di insolita grazia.
[In Puglia Futurismo e ritorno, catalogo
della mostra, a cura di M. A. Abenante, Bari, Edizioni dal Sud, 2009]
[1] Cfr. A. L. Giannone, L’avventura futurista. Pugliesi all’avanguardia (1909-1943), Fasano, Schena, 2002, al quale si rinvia per i dati relativi ai protagonisti di questa vicenda e alla loro attività e per la bibliografia specifica sull’argomento.