di Antonio Lucio Giannone
Fino a qualche tempo fa, “Puglia” e “futurismo” sembravano due termini antitetici, inconciliabili tra loro. Troppo lontana geograficamente e troppo diversa da un punto di vista sociale, economico e culturale era la nostra regione dalla città dove il movimento d’avanguardia era sorto e si era sviluppato all’inizio, la «grande Milano tradizionale e futurista» – come la definiva Marinetti – che era la più moderna ed europea delle città italiane. Sembrava impossibile che una regione con una struttura economica arretrata, basata prevalentemente sull’agricoltura, come la Puglia, potesse in qualche modo recepire le novità futuriste legate al mondo della macchina, dell’industria, del progresso scientifico e tecnologico. Tutt’al più si riteneva che essa fosse stata solo sfiorata, e anche piuttosto in ritardo, da questa vicenda, attraverso la partecipazione di qualche suo isolato rappresentante.
Con l’avanzare degli studi sulle realtà territoriali locali del futurismo, che, com’è noto, si diffuse gradualmente un po’ in tutta Italia, si è scoperto invece che la Puglia non solo non è rimasta estranea al movimento marinettiano, ma ha offerto un contributo per certi aspetti sorprendente che spicca nel panorama delle regioni meridionali. Ma quali sono, in sintesi, i dati caratterizzanti dell’ “avventura” futurista pugliese, che è stata da noi già ricostruita in un recente volume?[1]
Innanzitutto, la precocità della ricezione, se è vero che già nel 1909, l’anno di fondazione, esattamente un secolo fa, il futurismo, in Puglia, oltre ad essere ben conosciuto, aveva i primi adepti, alcuni dei quali erano anche in rapporto con Marinetti. In secondo luogo, l’estensione temporale della vicenda che arriva, sia pure a intervalli, fino al 1943 e coincide quindi quasi con l’intero arco cronologico del movimento, così come viene inteso oggi dalla storiografia più innovativa. Inoltre, l’ampiezza dei settori coltivati dagli esponenti pugliesi, che spaziano dalla letteratura alla pittura, dalla scultura alla musica, dall’architettura alla scenografia, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla politica, secondo lo spirito più autentico del futurismo che aveva appunto una dimensione totalizzante.