Zibaldone galatinese (Pensieri all’alba) XLVI

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Le biblioteche come i cinema. A proposito del destino delle biblioteche, Carlo Franco, Le biblioteche faranno la fine dei cinema? In “Il Manifesto – Alias” del 31 luglio 2022, p. 6, scrive che “esse rischiano di divenire una nicchia come i cinematografi, perdendo il ruolo di luogo esperienziale.”

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Pensiero a Belgrado 1 (2017). Belgrado è una città di quasi due milioni di abitanti, dove si svolge una vita innaturale come in tutte le grandi città. Città di queste dimensioni non sono mai esistite nel mondo antico, mentre oggi gran parte della popolazione è inurbata e vive in luoghi superaffollati, tanto che una città come questa tutto sommato si può considerare piccola rispetto a metropoli come Il Cairo, Città del Messico, New York, ecc. Ora, finché tutto va bene, cioè finché l’economia tiene, non c’è problema, la pace sociale è assicurata e ciascuno tira dritto per la sua strada. Ma che cosa accadrebbe se un giorno qualcosa andasse storto, se l’economia crollasse e nelle grandi metropoli ogni giorno non giungesse più l’immane quantità di acqua, di cibo, di risorse energetiche, ecc., che oggi le mantiene in vita e le fa prosperare?

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Pensiero a Belgrado 2 (2017). Passeggiata pomeridiana a Zemun, quartiere un po’ lontano dal centro e dunque raggiunto in taxi, superando il ponte sulla Sava. Camminiamo nella città trafficata, poi nel parco e infine lungo il corso del Danubio, nel tratto in cui non ha ancora incontrato le acque della Sava. Questo tramonto segna la fine della nostra permanenza a Belgrado. Il giovane tassista che ci riporta indietro va molto veloce per le strade piene di traffico – facciamo appena in tempo a fissare dentro di noi una visione del paesaggio cittadino notturno pieno di luci scintillanti -, ma guida sicuro, rispettando tutte le regole del buon guidatore, fermandosi al semaforo rosso e dando la precedenza ai pedoni sulle strisce bianche, anche a costo di frenare bruscamente per non investire una donna che improvvisamente ci taglia la strada. Di che cosa mi meraviglio? In realtà, porto dentro di me la tristezza per l’ultimo attentato di Barcellona, dove un furgone ha seminato strage tra i turisti della Rambla. In questi formicai umani che sono le città, che cos’è l’uomo per l’altro uomo? Un niente, un niente che si può trattare come un niente. Solo se c’è una legge che gli impedisce di uccidere, l’uomo è qualcosa per l’altro uomo. Così il giovane autista belgradese, frenando bruscamente davanti alle strisce pedonali per far passare una donna, mi suggerisce l’importanza di questa legge e anche la gravità del farla cadere.

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Potenza. Ogni vivente non può negare la propria volontà di potenza, pena la negazione di se stessi. Ma a noi è dato scegliere se indirizzare la nostra potenza verso il dominio e la distruzione oppure verso la pace e la vita. Scrive Byung-chul Han, Silenzio, in Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, VI,  Giulio Einaudi Editore. Torino 2022: “Vanno distinte due forme di potenza. La potenza positiva consiste nel fare qualcosa. La potenza negativa è il potere di non fare nulla. Non collima tuttavia con l’incapacità di fare qualcosa, in quanto non è una negazione della potenza positiva, bensì una potenza autonoma. Essa rende lo spirito in grado di indugiare nel silenzio e nella contemplazione, cioè nella profonda attenzione. Qualora manchi la potenza negativa, cadiamo in una distruttiva iperattività. Sprofondiamo nel baccano. Solo il rafforzamento della potenza negativa può ripristinare il silenzio. La coazione dominante a comunicare, che si rivela nei termini di una coazione a produrre, distrugge volontariamente la potenza negativa.”

Il fare nulla, non per incapacità o pusillanimità, bensì per spirito contemplativo e amore del silenzio, questo è un modo saggio di utilizzare la propria potenza.

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Tortura. Naomi Klein, nell’Introduzione a Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri, Rizzoli, Milano 2007, definisce la tortura “metafora della logica alla base della dottrina dello shock. La tortura – o, nel linguaggio della Cia, “interrogatorio coercitivo” – è un sistema di tecniche pensate per indurre nei prigionieri uno stato di assoluto disorientamento e shock, allo scopo di obbligarli a fare concessioni contro la loro volontà. (…)

La dottrina dello shock imita alla perfezione questo processo, cercando di ottenere su vasta scala ciò che la tortura ottiene su una singola persona in una cella per interrogatori. (…)

E’ così che funziona il capitalismo dei disastri: il disastro originario – il colpo di Stato, il crollo dei mercati, la guerra, lo tsunami, l’uragano – getta l’intera popolazione in uno stato di shock collettivo. Le bombe che cadono, le grida di terrore, i venti sferzanti sono più efficaci, nel rendere malleabili intere società, di quanto la musica assordante e i pugni nella cella di tortura non indeboliscano i prigionieri. Come il prigioniero terrorizzato che rivela i nomi dei compagni e abiura la sua fede, capita che le società sotto shock si rassegnino a perdere cose che altrimenti avrebbero protetto con le unghie e con i denti.”

In un sistema economico improntato al capitalismo deregolamentato, quello teorizzato da Milton Friedman, definito dalla Klein il “grande guru del capitalismo sfrenato”, alla pratica dello shock collettivo, di cui il capitalismo approfitta per ottenere sempre nuovi spazi a svantaggio delle classi subalterne, corrisponde la pratica dello shock individuale nelle indagini delle autorità inquisitorie, che approfittano dello smarrimento del presunto reo per estorcergli con la tortura una confessione. Così, al capitalismo che tortura la società corrisponde l’inquisitore che tortura l’individuo.

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Zombie e migranti. Ho visto una clip d’un film di zombie, una scena terribile nella quale una massa immensa di non-viventi dà l’assalto alla città difesa da soldati armati fino ai denti, con l’ingaggio di non permettere l’invasione della città atterrita. Gli zombi corrono verso la loro seconda morte, alcuni saltano come cavallette, mentre tra le loro file, man mano che avanzano, è strage infinita, provocata da tutti gli ordigni più terribili che l’uomo contemporaneo utilizza nelle guerre convenzionali: bombe, missili, carri armati, mitragliatrici, ecc. Gli zombie sono migliaia e migliaia e tuttavia i soldati ne falciano le file fino a far cadere gli ultimi ai loro piedi, definitivamente morti. I soldati hanno vinto, la città è salva; ma, se gli zombie sono i plures, fino a quando?

Che cosa significa questa scena?  Perché un regista ha pensato e realizzato una fictio come questa? L’immaginazione ha un potere maggiore quando, per analogia, evoca una realtà già data.

Innumeri torme di derelitti cenciosi e affamati premono alle porte del nostro mondo per entrarvi e saziare la loro fame. La città ne è impaurita e l’esercito interviene per fermare l’invasione. Il migrante diventa lo zombie, colui al quale non si riconosce lo status di essere vivente, e che dunque occorre respingere. Il migrante è respinto nella sua terra riarsa dove morirà di fame e di sete, lo zombie, il revenant, è ricondotto nella sua condizione di morto, che non gli consentirà di nuocere alla comunità. In mezzo è l’esercito, che assolve al suo compito di difesa del mondo dei vivi da quello dei morti, ovvero del mondo dei ricchi da quello dei poveri.

Chi va ancora al cinema per vedere un film di zombie è avvertito: in realtà vedrà solo un servizio del telegiornale (Naufragio in mare: strage di migranti), sotto mentite spoglie.

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