di Antonio Devicienti
Propagazioni sono quei lavori che partono dall’impronta digitale impressa al centro del foglio con inchiostro tipografico per continuare (“propagare”) a matita le linee dell’impronta del polpastrello; le linee mantengono sempre una distanza tra di loro di un millimetro e i fogli hanno talvolta dimensioni molto grandi, per cui il lavoro di realizzazione ammonta, in alcuni casi, a duecento ore.
L’indefettibile pazienza, la concentrazione mentale e corporea, l’estrema precisione del gesto e del tratto dicono di qualcosa che è prossimo all’ascesi.
La bellezza delle linee in qualche modo concentriche, fittissime e delicate, propagazione nello spazio bianco del foglio di una minima parte del corpo umano rende visibili simmetrie e cadenze.
La contemplazione di un’opera come questa (non basta guardarla, ne occorre una laica contemplazione) propaga anche il silenzio che da essa scaturisce poiché l’atto compiuto dalla vista diviene un atto dell’udito: quest’ultimo vede il silenzio mentre l’occhio ode la vibrazione delle linee – il foglio è singolare spartito sul quale è scritta la cadenza del silenzio.
Il bianco del foglio è spazio di una laica rivelazione o trasfigurazione, il foglio diviene luce nel momento in cui ha terminato di accogliere l’ultima propagazione (che l’immaginazione può continuare fuori del foglio stesso).
La matita è sismografo che traccia le invisibili onde di una propagazione, strumento di una mano d’estrema delicatezza le cui impronte digitali restano sul fusto della matita, oppure è telescopio capace di catturare cosmografie seguendo l’idea che l’immensamente grande si rispecchia nell’infinitamente piccolo e che il minuscolo si riflette nel grande: il foglio sembra diventare mappa di moti stellari.
La grafite è segno labile, non aggredisce il bianco del foglio, potrebbe essere cancellata da una gomma, eppure consegna concretezza a movimenti altrimenti insospettati.
Propagazioni dell’appena visibile e dell’invisibile.