Zibaldone galatinese (Pensieri all’alba) XLV

di Gianluca Virgilio

Finito e infinito, secondo Ludwig Wittgenstein, Osservazioni filosofiche, a cura di Marino Rosso, in Wittgenstein, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2008, p. 595: “Naturalmente sappiamo tutti che cosa vuol dire che esiste una possibilità infinita e una realtà finita, perché tutti diciamo che il tempo e lo spazio fisici sono infiniti ma noi ne potremmo vedere o vivere sempre solo tratti finiti. Ma come faccio allora, in assoluto, a sapere qualcosa dell’infinito? Dunque devo avere, in qualche senso, due generi di esperienza: uno del finito, che oltre il finito non può andare (questa idea dell’andare oltre è già di per sé assurda), e uno dell’infinito. Ed è proprio così. L’esperienza come vissuto dei fatti mi dà il finito; gli oggetti contengono l’infinito. Naturalmente non come una grandezza in concorrenza con l’esperienza finita, ma intensionalmente. Non come se vedessi lo spazio quasi interamente vuoto, con dentro solo un’esperienza piccola piccola. Invece vedo nello spazio di ogni esperienza finita. Vale a dire che nessuna esperienza può essere troppo grande o esaurirlo completamente. E non già perché, poniamo, conosciamo la grandezza di ciascuna esperienza e sappiamo che lo spazio è più grande; comprendiamo, invece, che questo è nell’essenza dello spazio. – Questa essenza infinita dello spazio la riconosciamo nella sua più piccola porzione.“

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