di Antonio Prete
Sugli ultimi fogli di questo taccuino estivo voglio dire non più dei luoghi, ma di una domanda che, mentre siamo intenti a osservare un paesaggio, o quando camminiamo in una città o su un sentiero, ci può venire incontro. Una domanda che qualche volta può arrivare con il vento di un’improvvisa distrazione: che cosa accade in questo momento altrove, di là da questa cornice? Se l’attenzione è il movimento che ci fa prossimi al visibile, e all’udibile, ponendoci in relazione con quel che diciamo presenza, la distrazione può essere intesa come il movimento che ci mette in relazione con quel che è assente, ma che vive altrove, nel tumulto del suo accadere.
Sia che ci abbandoniamo all’osservazione di quel che è dinanzi a noi – paesaggio campestre o urbano, orizzonte marino o metropolitano – sia che siamo nel vivo di un incontro, o di un’azione, l’altrove tende a ritrarsi nella sua indeterminatezza, nella sua intransitabile lontananza. Eppure richiamarne l’esistenza può dare allo sguardo una misura e una prospettiva che trattengono dall’identificazione assoluta con il qui e ora. E possono collocare il nostro vedere, o sentire, o interrogare, in un respiro che ci fa prossimi a tutto quel che è vivente.
La prima presenza che tendiamo lungo il giorno a rimuovere è l’orizzonte cosmico in cui siamo, con le ellissi dei corpi celesti, le vicissitudini di deflagrazioni e nascite stellari, anelli di gas e polveri, fuga di galassie, incendi abissali, buchi neri, insomma l’accadere tumultuoso di un oltreconfine che è l’al di là della nostra idea semplice di tempo, della nostra idea di spazio, e di cui le bellissime immagini inviate questa estate dal James Webb Space Telescope ci hanno offerto una prima figurazione: soglia per dislocare l’immaginazione verso l’azzardo. Il “granel di sabbia” che è la nostra Terra sta dentro questo universo in gran parte ancora inesplorato. E il nostro qui e ora è circondato da questi sconfinati, ignoti mondi.