Entriamo in questo modo in una proporzione artistica in cui l’oggetto sta al fenomeno come lo spazio sta al noumeno, e in cui lo spazio astratto che si trova nell’area circostante l’oggetto è allo stesso tempo soggetto principale e incognita il cui valore è da ricercarsi essenzialmente nei meandri della Metafisica kantiana. L’esperienza sensitiva-ottica che deriva dall’osservazione delle opere del Magliani rende lo spettatore e lo studioso attento, immediatamente reattivi alla percezione spirituale del messaggio che l’opera d’arte porta in sé e con sé. Tale atteggiamento di trattare lo spazio con un’interpretazione sensibile è osservabile in tutte le sue opere, che siano esse di paesaggio o di fiori, nature morte con frutta o con terrecotte, ulivi o animali, tutti sembrano spuntare da un mondo vicino a noi, interiore o forse addirittura parallelo. Possiamo pertanto affermare che non solo l’uso particolare della tavolozza di colori rende riconoscibili le opere di Magliani, ma anche questa “maniera sua” di raccontare l’indescrivibile è da considerare nel computo degli elementi che costituiscono, com’è già stato scritto, quella «celata ma mai nascosta firma di un inconfondibile artista»[5].
Sempre su Biagio Magliani: riflessioni iconografiche
Biagio Magliani si muove così, tra stili e personalissime interpretazioni dell’universo ignoto, libera l’arte, quella che parla della natura umana, dai confini della composizione tradizionale, compie giri enormi tra la conoscenza empirica e quella storica, tocca delicatamente appena sfiorandolo l’iperrealismo, e poi svolta tuffandosi libero nell’ispirazione che proviene da Vincent van Gogh, Rembrandt van Rijn, Michelangelo Merisi da Caravaggio, Jacopo Carrucci detto il Pontormo e da Giovanni Bellini; ma attenzione ad accusarlo o a puntare il dito contro, questo atteggiamento di guardare lontano non è un “debito” artistico da ascrivere al pittore leveranese, perché ogni artista divenuto poi “Grande” ha cercato di mettersi alla prova confrontandosi, su gesti estetici e individualismi storicizzati, con i maggiori esponenti della storia dell’arte di sempre[6]. Ma non è tutto, egli guarda attentamente anche all’esperienza formale di Mark Rothko, ma poi continua, va oltre, nella sua costante e incessante ricerca della profondità in uno spazio limitato ma che vuol essere infinito; quest’atteggiamento suo specifico è constatabile non solo nello spazio vuoto circostante l’oggetto, come in natura morta con fichi maturi, ma anche nei buchi (occhiatura) della mollica di una pagnotta spezzata, riposta in una cesta di pane, oppure tra i rami di un melograno ricolmo di frutti o di un ciliegio in fiore, che sarà forse d’ispirazione vangoghiana ma che permette viaggi infiniti di arabeschi rosa dallo squisito sapore ottocentesco, che tanto ricordano l’abilità di mano che ebbe l’illustre maestro salentino Giuseppe Casciaro (Ortelle, 1861 – Napoli 1941).
L’atto quindi può ritenersi compiuto, il pittore ha assolto il suo obbligo principale nei confronti dell’Arte. Perché compito dell’arte, e quindi del pensiero artistico rappresentato in un dato momento storico, è quello di “Evocare” e di “Simulare”: Evocare sensazioni, emozioni e stati d’animo, attraverso la raffigurazione personale e individuale dell’artista, che è in grado di simulare nelle sue opere realtà poetiche (pertanto vicine e assimilabili alla poesia), visioni dell’inconscio che stabiliscano un legame, inteso come connessione perpetua, tra artista, opera d’arte e fruitore dell’immagine ritratta, quindi di un pensiero simbolico condiviso e accettato come verità tangibile; e in quest’ordine di grandezze, non conta più soltanto la tecnica pittorica ma quanto ciò che l’imago è in grado di riprodurre, ovvero di quanto la realtà simulata dall’artista sia capace di evocare nello spettatore.
(in
Biagio Magliani Catalogo dell’opera, Editrice Salentina, Galatina,
VIII/2019; e poi su Biagio Magliani, Catalogo della mostra Unser Raum und
lo spazio metafisico – Merano 7-21 dicembre 2019, Editrice Salentina,
Galatina, XI/2019)
[1] Immanuel Kant, Critica della Ragion pura, Vol. I, Hachette, 2016;
[2] I. Kant: «Chiamo estetica trascendentale una scienza di tutti i princìpi a priori della sensibilità» (p.60);
[3] I. Kant: «In questa ricerca si troverà che vi sono due forme pure d’intuizione sensibile, come princìpi della conoscenza a priori, cioè spazio e tempo» (p.61);
[4] Vocabolario Treccani: «Che è legato all’esperienza»;
[5] M. Galiotta, Riflessi e trasparenze nella pittura di Biagio Magliani, in rubrica “il Cavalletto”, Rivista Puglia&Mare, anno V, n°17, Gallipoli, marzo 2017.
[6] Vedi Rembrandt van Rijn in Autoritratto con tavolozza e pennelli del 1661/65 ca. conservato alla Kenwood House di Londra – opera in cui l’artista emula la capacità di Giotto, nota a tutti, di tracciare un cerchio perfetto a mano libera, mettendosi così a confronto se non al pari, fino poi a ripensarci e fare marcia indietro, del grande maestro medievale «anticipatore del Rinascimento»; questa interpretazione è plausibile perché desumibile dalle indagini ai raggi x fatte sul dipinto, infatti dall’esame diagnostico è riemersa, quindi visibile, l’impostazione originale dell’opera che ritrarrebbe il pittore nell’atto di dipingere, e non come lo vediamo oggi in una postura da «posa».