di Antonio Prete
Quel vortice di accadimenti e di voci, di presenze e di mutazioni che chiamiamo storia allo stesso tempo mette in opera sparizioni e lascia visibili tracce. Quando penso a Otranto e alla sua costa, i due movimenti mi appaiono compendiati in due figure esemplari: il distrutto Cenobio basiliano di San Nicola di Casole e il grande mosaico della Cattedrale.
Del primo non ci sono neppure resti che possano suggerire forme architettoniche e struttura, solo un un muro sbrecciato in un campo che guarda la costa marina, da cui nelle albe limpide e nei tramonti si vede all’orizzonte delinearsi il profilo delle montagne albanesi. Quanto al secondo – il mosaico pavimentale – la sua preservata bellezza continua ancora oggi a coinvolgere pensieri e fantasticherie dei visitatori per la ricchezza dei particolari visivi.
Il grande albero – l’albero della Vita – si leva, dritto, fin sotto al presbiterio, ha le radici che poggiano sopra due elefanti, e spande il fogliame e i tronchi per tutto il pavimento, affiancato, in alto, nelle due navate laterali, da altri due alberi anch’essi aperti nel tripudio di raffigurazioni terrestri e celesti.
Le immagini mettono in scena un dialogo tra mitografie dell’Occidente e favolerie e credenze dell’Oriente. Mi è accaduto più volte di raccontare la meraviglia di questo Liber teologico e fantastico insieme, sapienziale e popolare, di soffermarmi sui suoi emblemi da bestiario, sul suo zodiaco, sulle narrazioni che dalla sponda mediterranea rispondono all’affabulazione bretone, sui passaggi del racconto biblico che si fanno contigui a personaggi della narrazione cavalleresca.