Questo atteggiamento assunto dall’establishment, sia nei confronti dell’arte figurativa che dell’indipendenza di giudizio su ciò che è veramente bello[1], solleva un alone di diffidenza verso un fantomatico fenomeno della società contemporanea chiamato populismo estetico[2]. In una condizione di instabilità culturale perenne, avvolti in questa cornice demagogica dei canoni estetici accettati, vedo nella figura artistica di Biagio Magliani (Leverano, 1964) quella ancora in grado di incarnare l’idea perduta di Arte, che abbiamo smarrito, o meglio, che nel corso degli anni ci è stata lentamente sottratta, ma che oggi, grazie ad alcuni artisti sensibili, stiamo lentamente recuperando. Il suo canone di bellezza è armonico, riprende il mondo del figurativo adattandolo all’arte contemporanea, dando nuova linfa e nuova vita agli elementi. Le opere di Magliani sono un concentrato di Manierismo rinascimentale, di Metafisica kantiana e Color-filed di Mark Rothko; influenze che rendono uniche le sue opere e che riprendono, in ordine logico e cronologico i principi di forma e prospettiva, noumeno e fenomeno, spazio e colore. Questi concetti applicati ai suoi dipinti rendono l’osservatore partecipe del processo creativo dell’opera d’arte: l’individuo che guarda un suo quadro si sente parte della narrazione stessa, in quello spazio etereo che rievoca il sogno. È in questi ambiti che si muove il presente studio iconografico, si sta cercando di capire come la conoscenza fenomenica e quella «a priori» ancora oggi concorrano nel ridefinire il concetto di opera d’arte; di come il silenzio venga raccontato dall’artista e renda il dipinto vivo, comunicativo, e mai silente.
La metafisica kantiana nelle opere di Biagio Magliani
In Critica della ragion pura Vol. II Immanuel Kant introduce il concetto di noumeno, chiamandolo anche Ding an sich (che in tedesco la sua lingua madre vuol dire “cosa in sé”), ma nella filosofia kantiana il noumeno è una rappresentazione mentale complessa, dai tratti spinosi, che allude a qualcosa di inconoscibile[3] e indescrivibile che in un certo qual modo si colloca all’estremità delle manifestazioni osservabili, quasi sullo sfondo, oltre la realtà apparente ossia di come ci sembra di vedere gli oggetti, ovvero di come la realtà viene percepita dai nostri cinque sensi.
Questo concetto era già stato ripreso nel II-III secolo d.c. da Sesto Empirico, infatti, secondo il pensatore greco, già Anassagora[4] per primo avrebbe contrapposto (noumena=νοούμενα) ciò che è pensato a ciò che appare, ossia quel fenomeno che Kant definisce come «l’oggetto indeterminato di una intuizione empirica» (fenomenos=φαινομένοις). Inoltre per Immanuel Kant il «meccanismo del condizionamento è indiretto e avviene attraverso una determinazione a priori che l’intelletto dà alle forme dell’intuizione […] la forma trascendentale che accoglie gli schemi è lo spazio, come “spazio realizzato” o “ipotizzato” chiamato anche etere». Dati come assunti questi principi filosofici si può affermare che la «Metafisica degli elementi» è dominante nelle opere di Biagio Magliani: lo spazio intorno al soggetto è oggetto stesso da rappresentare. Ciò che appare non è sempre ciò che è veramente. Lo spazio non ha un uso compiuto che funge da completamento della tela, lo spazio è l’opera vera, voluto, pensato dall’artista ma spesso travagliato, profondo, luogo in cui perdersi e ritrovarsi, pretesto che diviene opera madre. Spazio e Tempo, nelle sue opere divengono spazio-tempo, quarta dimensione in cui noumeno e fenomeno coesistono in una regione della psiche che il pensiero umanizza, rendendola concreta, grazie all’uso esperienziale di elementi semplici ma primordiali, come possono essere appunto considerate le rappresentazioni simboliche di Cibo ed di Paesaggio. Questi elementi sono veri e mentali allo stesso tempo, si tratta di ricordi di un’esistenza lontana, in cui non eravamo ancora gli esseri evoluti che siamo oggi, memorie ancestrali, segnali di un passato che è ormai remoto, arcaico, ma pur sempre vivo e attivo in noi e nei nostri sogni.
In summa vivere in questo spazio è un’esperienza che l’uomo può incontrare soltanto nella fase Rem, in cui il corpo è legato al terreno ma l’anima inizia a librarsi libera nel sogno e, guardando oltre questa dimensione, può scorgere ciò che è «inconoscibile» e «indescrivibile», uno spazio che si colloca «al fondo» dei fenomeni che si possono osservare. Sullo sfondo di un quadro, al di là dell’apparenza che è in un vaso di ciclamini, in una cesta di pane e in una natura morta di fichi o di limoni; è li che si colloca questa quarta dimensione, di chiara matrice Metafisica. Fenomeni esperienziali, forme note che nell’esplorazione artistica di Biagio Magliani divengono pretesto per raccontare l’ignoto in una sorta di “Realismo spaziale[ndr]” che l’artista fa suo senza forzature, senza ricorrere a sotterfugi e realtà apparecchiate per colmare lo spazio lasciato dagli elementi, ossia quello spazio vuoto che la mente avida di immagini non potrebbe razionalmente concepire. Essenza della materia, questo è l’opera di Biagio Magliani, tangibile ed effimero, l’oggetto (schema) e lo spazio(la forma trascendentale che accoglie gli schemi) divengono “Cibo” per il corpo e per lo spirito, “Paesaggi” reali che hanno origine nella sua anima.
[in Biagio Magliani Catalogo dell’opera, Editrice Salentina, Galatina, VIII/2019; e poi su Biagio Magliani, Catalogo della mostra Unser Raum und lo spazio metafisico – Merano 7-21 dicembre 2019, Editrice Salentina, Galatina, XI/2019].
[1] È provato scientificamente che il concetto di bellezza e quello di cultura incidono positivamente sul benessere dell’essere umano; la percezione della bellezza è un senso atavico, primitivo, che ci aiuta a continuare nella nostra esistenza ormai millenaria e che ci permette di esprimere il nostro essere, sia nella fase creativa che in quella percettiva[ndr].
[2] F. Jameson, nel 1984 aveva sintetizzato così la mancanza di profondità culturale nella società di oggi (supremo aspetto formale di tutto il postmodernismo) eliminerebbe l’ermeneutica dell’opera d’arte e introdurrebbe una cultura della superficie, ovvero «la cancellazione del confine tra la cultura alta e la cosiddetta cultura di massa o commerciale, e l’emergere di nuovi tipi di “testi” pervasi di forme, categorie e contenuti di quell’industria culturale tanto appassionatamente denunciata da tutti gli ideologi del moderno». Un assunto alla base del populismo estetico è quello che «i concetti di arte e di bellezza devono assolutamente coincidere».
[3] Vocabolario Treccani: «Che non può essere conosciuto dalla mente dell’uomo, “tutto ciò che il pensiero umano, dati i suoi limiti, non è in grado di conoscere”»;
[4] Anassagora – filosofo presocratico attivo ad Atene intorno al 462 ac.;