di Antonio Prete
Nella macchia, dove l’intrico di cardi spinosi, di lentischi, di mortelle cominciava a diradarsi, si apriva una radura rigata da un rivolo d’acqua azzurrino. Ho seguito, le spalle alla scogliera marina, il piccolo corso d’acqua fino a che non si è allargato in un laghetto: gli argini di terra rossa sormontati da cespugli di mirto e di corbezzoli si riflettevano nel piccolo specchio fluttuando nell’azzurro che ora era più cupo. Poi il piccolo corso d’acqua riprendeva il suo cammino: l’ho seguito fino a quando non si è perso, assorbito non più dalla macchia ma da un terreno sassoso che era ombreggiato da alti pinastri, da carrubi, da eucalipti.
Dove il tratturo si cancellava, si poteva scorgere tra il fitto del fogliame ancora una linea di mare, con le scaglie di luce e l’isola che mostrava la riga bianca di sabbia dinanzi al nero della scogliera. Cercando la via del ritorno ho visto rilucere tra gli alberi un sentiero: l’ho raggiunto e ho visto che fiancheggiava un nuovo rivolo d’acqua: i sassi sul suo fondo biancheggiavano, nei piccoli argini la creta aveva arabeschi e crepe, e c’era un rumore nello scorrere dell’acqua che somigliava al truglìo che fa il mare sulla lingua di sabbia e di conchiglie.
La Lagoa era caduta nell’ombra: l’acqua era una superficie grigionera su cui trascorrevano piccoli lampi: s’era levata la luna sopra la linea dei palmeti. Un profumo forte, di petali carnosi schiacciati nelle mani, era portato sulla riva da un vento che si era levato dopo il crepuscolo: si mescolava al profumo delle orchidee che a cespugli sorgevano intorno ai tronchi delle palme.
Due amache oscillavano vuote tra i miei occhi e la riva. Si sentiva lo sciabordio dell’acqua, si mescolava al suono che faceva il vento nel folto delle mangrovie che scendevano dalla collina fino a lambire la riva. Sopra le acque, nel cielo già annerito, restava una striscia di rosso. Sulla linea di sabbia, che cominciava ad affondare nel buio, apparve, in lontananza, una piccola figura scura.