di Adele Errico
La mattina del 14 agosto 1480, Antonio Pezzulla, detto “Primaldo”, si inginocchia in cima al colle della Minerva, a Otranto. Il colpo netto di una scimitarra gli mozza la testa che rotola giù per il colle. Il suo corpo, però, resta ritto sul busto sotto gli occhi terrorizzati del boia. Antonio Primaldo è il primo degli ottocentotredici martiri otrantini che in quel giorno di agosto di cinquecentoquarantadue anni fa vengono decapitati dall’invasore turco per non aver rinnegato la fede cristiana. Il cadavere senza testa di Primaldo, impietrito nella luce mattutina, resta rigido fino a quando anche l’ultimo otrantino non è caduto sotto la cieca ferocia saracena. A quel punto, come esausto del protrarsi del macabro miracolo, si accascia tra la polvere del colle, per essere al tempo stesso primo e ultimo tra i martiri. Il 14 agosto si ricordano le donne e gli uomini di Otranto che furono trucidati perché consapevoli che la verità del cuore vale più di una menzogna pronunciata allo scopo di salvarsi la vita. Oggi di quelle donne e quegli uomini rimangono scapole, tibie, femori e crani che “dormono dietro i fragili vetri degli ossari” della cattedrale di Otranto. Da quel giorno, i loro corpi muti, le loro teste mozzate, le loro mani giunte in una preghiera stroncata dalla lama di una scimitarra, si fanno testimonianza del coraggio di una scelta per la quale la passione cancella il timore della morte. Ammucchiate nelle teche di vetro, le ossa dei martiri cantano come coro di voci antiche che si addensano nel romanzo di una delle figure centrali della cultura italiana del Novecento, critica militante, filologa, teorica della letteratura e narratrice. L’ora di tutti di Maria Corti. Nel romanzo, Otranto, “con il suo mare violetto, le sue case bianche” non è solo spazio geografico, ma luogo della coscienza attraversato dalle voci di cinque fantasmi monologanti che fanno qualcosa che “si impara da Aristotele e Sant’Agostino”. Esercitano il potere della memoria. Parlando da una dimensione “post mortem”, Colangelo pescatore, il capitano Zurlo, Idrusa, Nachira, Aloise De Marco narrano come la Storia sia entrata irruenta nelle loro esistenze e di come, senza volerlo, senza saperlo, nuova e inattesa, giunga “l’ora di tutti”. Non è l’ora della morte ma è un istante fulminante che carica l’esistenza di senso. È un suono secco che suggerisce che tutti i pezzi – anche quelli della vita più disunita, frantumata, spezzata – vanno ciascuno al pr