di Giuseppe Virgilio
La facoltà dell’immaginazione e del cuore è assai spiccata e singolare nei filosofi più profondi e negli indagatori del vero più penetranti. Si pensi a Platone, che è stato poeta nel suo stile e nelle sue invenzioni. Il filosofo con cuore e immaginazione è penetrato addentro nei grandi misteri della vita, dei destini e delle intenzioni particolari e generali della natura, laddove si volge la poesia che ricerca per sua proprietà il bello, ma anche la filosofia, che ricerca invece essenzialmente il vero. Poesia e filosofia, sommità dello spirito umano, sono le facoltà più affini tra loro, le più nobili e le più difficili a cui possa applicarsi l’umano ingegno. Perciò i primi sapienti sono stati poeti, o meglio, utilizzando la poesia, hanno annunziato in versi le prime verità, perché così alla loro mente le ha presentate il lavoro dell’immaginazione. Le idee nascono dall’ignoranza dell’intero, e il poeta lascia in questo modo al lettore da pensare più di quanto egli esprima.
Per ciò che riguarda l’interpretazione testuale del L’infinito, Luigi Russo e Giulio Augusto Levi sono i critici che hanno sviluppato una geniale intuizione di F. De Sanctis: L’infinito è una preghiera religiosa. Lievito di essa, secondo il Russo, è l’attitudine del poeta all’absence dalla vita[11].