di Ferdinando Boero
Nel simbolo del partito di Di Maio c’è un animale. Dopo qualche vegetale, dall’edera dei repubblicani all’olivo di Prodi, finalmente una bestia: la vera novità della simbologia politica. Ma che animale è, quello di Di Maio? Ho cercato in rete e si dice che sia un’ape. La morfologia, però, non porta a questa conclusione. Cominciamo dalla testa. Lì ci siamo: l’animale è di profilo e si vede un solo occhio ma, giustamente, ci sono due antenne. Va bene. Le ali sono le due rivolte verso chi guarda, le altre due sono dall’altra parte e non si vedono. Solo che le ali delle api non sono così. A riposo sono ripiegate su torace e addome, e neppure in volo stanno così. Queste hanno la tipica postura delle ali di farfalla a riposo. Il tronco ha grossi problemi. Il corpo degli insetti, e le api sono insetti, è suddiviso in capo, torace e addome. Con il capo ci siamo, ma dopo c’è un tronco cilindrico segmentato: una struttura tipica di molte larve di insetti, come i bruchi. Anche le larve delle api sono così e, a differenza degli adulti, non hanno zampe. Il simbolo del partito di Di Maio, quindi, è una chimera tra un insetto generico (il capo), una farfalla (le ali), e una larva di insetto (il tronco).
Sarà un errore dovuto ad ignoranza zoologica, o è un messaggio per i potenziali elettori? Sopra all'”ape” c’è un cerchio con una grossa scritta: CENTRO. Il partito si colloca al centro. Non è ape e non è larva, oppure è sia ape sia larva, un neonato adulto, un ossimoro. La parola sotto CENTRO è democratico. Una parola logora: sono tutti democratici, per la libertà, e per il popolo.
Un tempo c’erano gli opposti estremismi, ora ci sono gli opposti centrismi che, all’infinito, si incontrano. Siamo alle sottigliezze della migliore DC, con le convergenze parallele. Di Maio, però, non usa le parole, fa il disegnino.