Anche i temi fondamentali del Futurismo, che sono esposti nella seconda parte del Manifesto, composto da undici punti programmatici, sono tutti caratterizzati dall’anticonformismo e dall’antipassatismo: «l’amor del pericolo»; il coraggio, la ribellione; l’esaltazione del movimento e della velocità («la bellezza della velocità»); l’aggressività; la glorificazione della guerra, «sola igiene del mondo»; la lotta contro le biblioteche, i musei e le accademie; il rifiuto del sentimentalismo tardoromantico e del moralismo. Così pure rinviano tutti alla modernità i nuovi scenari urbani (le grandi capitali, gli arsenali, i cantieri, le officine, le stazioni) e i mezzi di trasporto elencati nell’undicesimo e ultimo punto: «i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte»; «le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi»; gli aeroplani «la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta».
Il Manifesto termina con la seguente frase, che sta a indicare lo sforzo titanico che si apprestavano a compiere i futuristi nel tentativo di cambiare radicalmente l’arte e la letteratura: «Ritti su la cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!…».
Da questo momento ha inizio la storia del Futurismo, che si suddivide in varie fasi, a seconda degli ambiti di intervento, e comprende il lancio di numerosissimi manifesti, la pubblicazione di libri, opuscoli e riviste, mostre d’arte, spettacoli teatrali, ‘serate futuriste’, ecc. Questa storia non termina nel 1913 o nel 1916 o nel 1920, come si sosteneva fino a qualche tempo fa, ma soltanto nel 1944, l’anno della scomparsa del suo carismatico leader, il quale fino alla fine condusse la battaglia per il rinnovamento dell’arte.
Nato come movimento letterario, il Futurismo assunse ben presto una dimensione totalizzante che lo contraddistingue rispetto a tutte le altre avanguardie storiche europee. Esso infatti si estese, gradualmente, dalla letteratura alle arti tradizionali (la pittura, la musica, la scultura, l’architettura), rivoluzionandone i canoni espressivi con effetti dirompenti che durano ancora adesso, ma investì successivamente anche le arti e i media nati nel secolo ventesimo (la fotografia, il cinema, la radio), altre forme artistiche o artigianali (la danza, la scenografia, la moda, la grafica, la pubblicità, il design, l’arredamento, la ceramica, la comunicazione postale) e ancora la politica, il giornalismo, il costume, la morale, la vita quotidiana. Come si sa, esistono manifesti futuristi dedicati persino alla cucina e alla flora! L’obiettivo principale dei seguaci di Marinetti infatti, per parafrasare il titolo del manifesto di Balla e Depero del 1915, era quello di ‘ricostruire’ a propria immagine l’‘universo’, cioè l’intera sfera dell’esperienza umana.
Da Milano, la città più avanzata d’Italia in campo economico e culturale, dove nacque, il Futurismo si diffuse poi, col passare degli anni, in numerosi centri, grandi e piccoli, della penisola, a volte anche nelle zone più periferiche, facendo innumerevoli proseliti e sviluppandosi in rapporto alle tradizioni culturali e alle situazioni sociali ed economiche locali, nell’ambito della tendenza sostanzialmente unitaria di esso. Tanto è vero che si è parlato di una ‘molteplicità topografica’ del Futurismo come di un’altra sua caratteristica peculiare.
Esso si sviluppò anche in alcune regioni del Mezzogiorno d’Italia, come la Puglia, la quale in effetti, come è stato già ampiamente dimostrato nel nostro volume L’avventura futurista (Fasano, Schena, 2002), non è rimasta per niente estranea a questo movimento, ma ha offerto anzi un significativo contributo sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo. E basti pensare soltanto ad alcuni esponenti pugliesi: Domenico (Mimì) Frassaniti, che aderì già nel 1909 e l’anno successivo compose uno studio critico sul Futurismo,rimasto inedito, che è il primo assoluto in campo nazionale; il pittore Antonio Serrano, uno dei primi seguaci della pittura futurista nel Sud; Luigi Fallacara, Mario Carli e Emilio Notte, i quali si formarono e operarono nell’ambiente fiorentino delle riviste “Lacerba” e “L’Italia futurista”; Franco Casavola, autore di composizioni musicali, opere letterarie e vari manifesti; Mino Delle Site, uno dei più noti esponenti dell’aeropittura degli anni Trenta; Vittorio Bodini, che giovanissimo fondò un gruppo futurista a Lecce; e ancora i pittori Pippi Starace e Oronzo Abbatecola e l’aeropoetessa Nené Centonze.
Ma il movimento marinettiano, come venne documentato dalla memorabile rassegna veneziana del 1986, “Futurismo e Futurismi”, ha avuto una diffusione planetaria, in quanto andò anche oltre i confini d’Italia e raggiunse ben presto altri paesi europei (Francia, Gran Bretagna, Germania, Belgio, Russia, Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria, Svezia) ed extraeuropei (gli Stati Uniti, l’Argentina, il Messico, il Giappone). Non a caso, le celebrazioni per il centenario hanno avuto inizio proprio in Francia con la grande mostra “Le Futurisme à Paris. Une avantgarde explosive”, svoltasi al Centre Pompidou da ottobre 2008 al 26 gennaio di quest’anno, che dal 20 febbraio è ospitata presso le Scuderie del Quirinale a Roma e dal 12 giugno sarà trasferita alla Tate Modern di Londra.
Nonostante la sua indubbia rilevanza, però, il Futurismo è stato a lungo trascurato dalla cultura italiana, soprattutto a causa di pregiudizi di natura estetica e ideologica, ormai completamente superati. La critica di ispirazione crociana, ad esempio, nel periodo tra le due guerre e anche dopo, lo considerava poco più di un fenomeno folcloristico, completamente al di fuori dei confini della “poesia”. Così pure la critica marxista, negli anni Cinquanta e Sessanta, lo accusava di collusioni col fascismo, rifiutando le sperimentazioni dell’avanguardia e battendosi invece a favore di un’arte realista e “impegnata”. Da qui un’immagine falsa e riduttiva di questo movimento, che si riteneva assai circoscritto storicamente e geograficamente.
Solo a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, in coincidenza con la nascita, in Italia, della neoavanguardia che al Futurismo si richiamava esplicitamente, esso è stato adeguatamente esaminato e valorizzato, fino a essere imposto all’attenzione nazionale e internazionale. Attraverso una serie imponente di studi, mostre, ristampe di opere, manifesti e riviste, si è scoperta così una nuova immagine del movimento più rispondente alla realtà. E così da una visione fortemente limitativa si è passati, in tempi più recenti, a considerare il Futurismo in tutta la sua complessità e varietà di aspetti, ambiti, posizioni, tempi e luoghi, fino a dargli tutta l’importanza che merita nella storia della cultura novecentesca.
[Nel catalogo della mostra Futurismo nel suo centenario, la continuità, a cura di L. Tallarico, (Cavallino di Lecce, Galatina, Congedo, 2009]