Itinerario di Girolamo Comi (Seconda parte)

Il tuo linguaggio profondo

è come un’ala distesa

un’ala di luce rappresa

dentro l’argilla del mondo

e in ogni consumo di cose

rutila e s’ingigantisce

un fuoco che non finisce

per cui rinascono rose,

pensieri paesi e persone

uniti in un cantico ebbro

ch’è oscura comunione

coi calici del tuo verbo

(59),

dove c’è quasi il senso della permanenza del fuoco originario che permane negli individui e negli oggetti del creato e li unisce per sempre alla divinità attraverso il Verbo.

Ancora più esplicita e significativa è La Grazia, da dove, secondo Luigi Fallacara, comincia “la poesia veramente religiosa”[4] di Comi, una delle sue liriche più alte e significative:

Se la Tua grazia m’inonda e mi colma

il respiro mi manca, ed è allora

ch’io sento il verbo e dimentico l’ombra

della mia cupa e orgogliosa parola.

Se Tu m’assisti, il mio cuore diventa

un grande bosco di pensieri vivi

in cui regna e s’eterna la sementa

dell’ansia antica dei morti e dei vivi.

Ed una forza armoniosa invade

le sillabe del sangue e le rende

preghiere piene dove rotea e splende

la rosa aurea dei tuoi cieli, o Padre(60).

Qui è proprio attraverso la Grazia divina che il poeta sente il Verbo, dimenticando la sua “cupa e orgogliosa parola”. Le “sillabe del sangue” diventano allora “preghiere”, perché preghiera e poesia “sono una sola cosa” per Comi. “La sensualità panica – ha scritto Bocelli a proposito di questa composizione – si è concentrata in un sentimento religioso, cristiano della vita (sia pure d’un cristianesimo con molte tracce ancora di immanentismo); e quell’immaginismo acceso, rutilante è divenuto tutt’una cosa con tale sentimento della vita”[5].

  • Il ritorno a Lucugnano: L’Accademia salentina, “L’Albero”

Subito dopo la guerra, nel 1946, Comi si trasferisce a Lucugnano, dove incomincerà un’altra fase assai significativa della sua attività letteraria. Nel 1948 fonda, infatti, l’Accademia salentina, di cui faranno parte personalità di primo piano della cultura nazionale, come Oreste Macrì, Michele Pierri, Mario Marti, Luciano Anceschi, Rosario Assunto, Vincenzo Ciardo, Maria Corti, Luigi Corvaglia, Enrico Falqui, Ferruccio Ferrazzi e Giuseppe Macrì. L’Accademia si proponeva di dare un contributo alla rinascita culturale del territorio salentino ma non trascurava nemmeno l’aspetto sociale  anche attraverso l’istituzione di premi riservati a insegnanti e borse di studio per gli studenti più meritevoli. I soci si riunivano periodicamente nel palazzo di Comi e discutevano di temi culturali, religiosi, di estetica, di arte. Nell’album conservato nella Biblioteca di Palazzo Comi esistono i verbali di queste riunioni stesi dalla Corti. L’Accademia andò avanti fino al 1953 (ma l’ultima riunione è quella del 28 dicembre 1954), e si estinse a causa delle difficoltà economiche di Comi dopo il fallimento dell’oleificio che aveva fondato, ma anche in seguito all’allontanamento di alcuni soci i quali avevano difficoltà a  raggiungere Lucugnano a causa della sua posizione geografica[6].

Collegata all’Accademia però è un’altra iniziativa importante di Comi che nel 1949 fondò una rivista, “L’Albero”, che andò avanti fino al 1966 per complessivi tredici fascicoli e quarantaquattro numeri. I primi sette fascicoli, fino al 1954, furono il bollettino dell’Accademia salentina[7]. “L’Albero” fu una rivista che andò decisamente (e coraggiosamente) controcorrente, preferendo occuparsi, in piena stagione neorealista, di problemi esistenziali e latamente religiosi, oltre che specificamente letterari e artistici, piuttosto che di quelli politico-sociali, come era consuetudine dei periodici del tempo, dal “Politecnico” a “Società”, dal “Ponte” al “Contemporaneo”. Fu anche questo, in fondo, un tipo particolare di ‘impegno’, tanto più che venne svolto sempre con serietà d’intenti e talora anche con eccellenti risultati da tutti i collaboratori. “L’Albero” si ispirava ai modelli delle riviste fiorentine degli anni Trenta e, in particolare, al cattolico “Frontespizio”. Oltre ai membri dell’Accademia, collaborarono all’“Albero” personalità di primo piano in campo letterario, come, fra gli altri, Carlo Betocchi, Mario Luzi, Giuseppe Ungaretti, Luigi Fallacara, Gianna Manzini, Diego Valeri, Giorgio Vigolo, Giorgio Caproni. Furono presenti anche i migliori scrittori salentini, da Vittorio Bodini, che nel 1955 vi pubblicò il suo racconto più noto, Il Sei-Dita, a Vittorio Pagano, da Nicola De Donno a Luciano De Rosa al pittore Lino Suppressa, qui presente nelle vesti di prosatore. Nei fascicoli dell’“Albero” comparvero pure numerose traduzioni di scrittori stranieri, classici e contemporanei. Bisogna aggiungere che “L’Albero” venne ripreso nel 1970, dopo la morte di Comi, da Macrì e Valli e proseguì fino al 1985, anche se l’ultimo fascicolo, il trentanovesimo, risulta “finito di stampare” nel 1987.

La rivista venne affiancata dalle Edizioni de L’“Albero”, un’altra iniziativa editoriale di Comi, nella quale, accanto alle sue opere di questi anni (Spirito d’armonia e Canto per Eva), comparvero, fra l’altro, le Letture poetiche del Pascoli di Arturo Onofri, con prefazione di Emilio Cecchi, antologie di riviste primonovecentesche come  il “Leonardo”, curato da Carlo Ballerini, e il “900”, curato da Enrico Falqui,  nonché l’Antologia dei poeti maledetti tradotti da Pagano. Quest’ultimo, per le stesse Edizioni, curava anche una collana di poesia, “La misura del tempo”, nella quale uscirono raccolte di Elsa Raimondi, Ugo Gallo e Cristianziano Serricchio.

  •  Le ultime raccolte poetiche

Nel 1954 Comi pubblica Spirito d’armonia 1912-1952, composta da 107 liriche selezionale dalle raccolte precedenti, a partire dal Lampadario del 1920, con l’aggiunta di 26 inedite, composte tra il 1940 e il 1950, cioè dopo l’antologia del 1939. Quest’opera che è riassuntiva del suo itinerario poetico fino ad allora, ebbe quello stesso anno il Premio Chianciano, l’unico riconoscimento nazionale avuto dal poeta durante la sua esistenza. Nella motivazione stesa dalla Giuria, si chiariva, fra l’altro, l’evoluzione della poesia comiana: “Da una panica e sensuale comunione con il tutto, da una totale ebbrezza di natura e cosmica liberazione, vagheggiate fino al Cantico dell’argilla e del sangue, si passa per gradi a un più alto acquisto religioso, a una visione cristiana della vita, e dall’immanentismo al sentimento della trascendenza”[8].

Questo graduale passaggio è visibile in alcune composizioni degli anni ’40, come Paganesimo di Adamo, dove è evidente ancora il conflitto interiore del poeta dibattuto fra terrestrità e spiritualità[9]:

… ho fame ancora di cose terrestri,

di oscuri umori di vita, di forme

tanto più dolci quanto più vi dorme

la morte…

(75).

Ma mentre prima c’era un abbandono alla terrestrità, ora c’è il senso della colpevolezza di quell’abbandono e un’ansia di una completa purezza e libertà spirituale:

Ansietà di purezza mi sollevi

fino alle fonti dove Tu allevi

abbaglianti falangi d’Angeli…

 (Ansietà di purezza, 87).

Un altro tema presente in queste liriche è quello della morte, che ora è vista, secondo la fede cristiana, come il passaggio necessario per “conquistare la resurrezione / della carne dell’anima e del volto” (I morti, 87). E in morte della madre Comi compone una delle sue liriche  più commosse e perfette:

Madre che dormi ‒ che il tuo sangue sia

tutta una melodia

di sogni dove giace custodita

la preziosa ragione della vita

         ‒ dono di fiamma che rifulge o langue

del mistero dell’anima e del sangue ‒

e l’immortalità che dal morire

erompe ‒ fiore e frutto di vittoria ‒

ti vesta un po’ ogni giorno della gloria

del cielo in cui tu devi rifiorire

(Preghiera per la madre, 85)

Spirito d’armonia si conclude, non a caso,  con un sonetto che ha lo stesso titolo della raccolta e sintetizza il nucleo centrale del pensiero comiano, la sua concezione unitaria e ‘armonica’ della vita umana e dell’universo:

Spirito d’armonia ‒ se t’impossessi

dell’ansia antica della mia persona

ogni fibra di me arde e risuona

della solarità dei tuoi riflessi

e la mia voce interiore intona

inni nativi e cantici sommessi

di cui l’impeto e il ritmo son riflessi

dall’universo che mi fa corona:

ed ecco una magnetica raggera

di stagioni e di siti prediletti

risuscitare in me una primavera

di concordanze e d’accordi perfetti

dove brulica la crescita e il fiore,

anima, del tuo avvento ulteriore

(88).

Nel 1958 esce l’edizione definitiva di Canto per Eva, formata da quattro sezioni, delle quali le prime due erano state pubblicate in edizioni autonome: la prima, dal titolo Piccolo idillio per piccola orchestra, nel 1954; la seconda, Canto per Eva, nel 1955. Quest’opera è stata giudicata variamente dai critici. Mentre Mario Marti parla senza mezzi termini del suo “capolavoro”[10], fino a definire Comi “poeta dell’amore”, per Carlo Caporossi, autore di una monografia sul poeta, si tratta di un “ritorno alla situazione che preesisteva a Spirito d’armonia[11]. Canto per Eva è un canzoniere composto da liriche ispirate al tema dell’amore. Nella Dedica, premessa al libro, così Comi scrive:

Più che “Poesie d’amore” ‒ nel senso consueto e “stretto” ‒ queste liriche vogliono essere l’indice o l’abbozzo di una serie di motivi essenziali ‒ sul piano cosmico e spirituale ‒ della “poesia dell’amore”.

Poiché l’aspirazione (o l’ambizione) maggiore di questa poesia consiste nel voler fare opera di armonia d’ordine più universale che soggettivo e più metafisico che sentimentale, è inevitabile che ogni elemento o afflato personalistico ed episodico resti il più spesso, se non sopraffatto,  come assorbito e bruciato dal fuoco dell’evento amoroso in sé[12].

Non a caso, il titolo richiama l’archetipo femminile, Eva, che diventa una sintesi delle donne amate al poeta. E alla contemplazione di questo archetipo egli giunge evocando o ricordando  delle immagini terrene, dei ‘tipi’ nei quali si può avvertire  la sua presenza. “Immagini e tipi senza volto e senza nome […] ‒ scrive Bocelli ‒ ma con un fondo autobiografico tanto più ricco di lieviti quanto più depurato d’ogni riferimento contingente”[13].

Donato Valli, per questa raccolta, ha parlato giustamente, di “una forma di stilnovismo novecentesco che fa recuperare a Comi forme e spiriti di una tradizione fatta di terrestri vibrazioni nelle quali egli intravede il riflesso di armonie e beatitudini dilatate nella perfezione della bellezza immortale”[14]. Dal punto di vista formale, in effetti, non c’è dubbio che ci troviamo di fronte ai versi più eleganti e raffinati, e anche più musicali, che Comi abbia scritto, proprio a partire dalla prima composizione:

Come un giardino schiuso a me d’accanto

‒ di cui non toccherei fiore né frutto ‒

tu, respirando, in me generi un canto

che mi riempie e m’illumina tutto

(93).

E a questo proposito si potrebbero fare tanti altri esempi, come il seguente:

Ti vedo, poi ti perdo, riappari

ridente: sei la nuvola sognata,

caldo tremore d’anima ora nata;

raggio di gioventù di giorni rari

(97)..

Ma, proprio come negli stilnovisti, la figura femminile, che pure conserva ancora un carattere sensuale e terrestre, è fonte di salvezza per il poeta e tramite alla conoscenza di Dio:

e dalla preziosa presenza

di te prende l’avvìo

il mio spirito per la conoscenza

quotidiana di Dio…

(117).

Si torna ai valori spirituali e all’abbandono dei richiami sensuali nell’ultima raccolta di Comi, Fra lacrime e preghiere (1958-1965), pubblicata nel 1966, nel periodo più difficile della vita del poeta, tra aggravamento delle condizioni di salute e una situazione  economica sempre più precaria. Tanto più risalta la saldezza della fede che egli manifesta in queste liriche, come scrive anche nella Nota introduttiva:

L’ispirazione e la concretezza di una fede attiva e contemplativa, sia d’ordine lirico che mistico, sia letterario che soprannaturale, sono l’impasto e la sostanza stessa, con ripetizioni inevitabili, di tutte le liriche che fanno di “Lacrime e preghiere” un libro di poesia sui due piani cari al poeta: il piano letterario e quello spirituale[15].

C’è ora un senso di fiduciosa attesa nel compimento della vita e di abbandono pieno e totale nel grembo della divinità, paragonata a un ideale ritorno all’età d’oro dell’infanzia:

Fra lacrime e preghiere riassaporo

timidamente e trepidante d’ansia

il germoglio di una smarrita infanzia

in giardini accerchiati d’orizzonti d’oro

(130).

Non a caso il libro si chiude con la composizione Cristo, la quale, per la sua profonda concettosità si rifà, secondo Michele Tondo,  alla dantesca preghiera alla Vergine dell’ultimo canto del Paradiso, della quale riprende anche la struttura formale, distinta in una prima parte di esaltazione e in una seconda di supplica[16]:

Fra lacrime e preghiere brucia e geme

l’ansietà nostra, gaudio e catarsi

nel dramma quotidiano di disfarsi

dal giogo d’ogni fuggevole bene,

e fra preghiere e lacrime soltanto

cresce e rifulge di prezioso stelo

di primizie perpetue di cielo

che in noi piovono dal tuo Trono santo…

(143).

Con questa lirica, al tempo stesso,  si chiude l’itinerario poetico di Comi che due anni dopo la pubblicazione della raccolta avrebbe concluso anche la sua esistenza terrena.

[In G. Comi, Poesie. Spirito d’armonia, Canto per Eva, Fra lacrime e preghiere, a cura di A. L, Giannone e S. Giorgino, Neviano (Le), Musicaos Editore, 2019].


[1] A. Bocelli, Spirito d’armonia, in “Il Mondo”, 10 agosto 1954.

[2] In  G. Comi, Opera poetica, cit., p. 444.

[3] Ivi, p. 445.

[4] L. Fallacara,  La poesia di Girolamo Comi, in “Città Nuova”, a. V, n. 3, 10 febbraio 1961.

[5] A. Bocelli, Spirito d’armonia, in “Il Mondo”, cit.

[6] Un’accurata ricostruzione di questa vicenda è in G. Pisanò, L’“Accademia salentina” attraverso inediti, in Id, Lettere e cultura in Puglia tra sette e Novecento (Studi e testi), Galatina, Congedo, 1994, pp. 133-154.

[7] Su questa prima fase della rivista cfr. L’Albero. Rivista dell’Accademia salentina. Antologia 1949-1954, a cura di G. Pisanò, con una premessa di M. Corti, Milano, Bompiani, 1999.

[8] In  G. Comi, Opera poetica, cit., p. 356.

[9] Su questo tema cfr. L. Scorrano, Comi, la “terrestrità spirituale”, in “Otto/Novecento”, a. IV, n. 2, marzo-aprile 1980, pp. 51-80.

[10] M. Marti, Comi poeta dell’amore  8quttro studi), “I grani di Presenza”, Galatina, Editrice Salentina, 1999 p. 27.

[11] C. Caporosssi, Ascetico Narciso. La figura e l’opera di Girolamo Comi, Firenze, Olschki, 2001, p. 191.

[12] G. Comi, Opera poetica, cit., p. 91.

[13] A. Bocelli, Canto per Eva, in “Il Mondo”, a. X, n. 45, 11 novembre 1958.

[14] D. Valli, Poeti salentini. Comi – Bodini – Pagano, Fasano, Schena, 2000,  p. 87.

[15]  G. Comi, Opera poetica, cit., p. 121.

[16] Cfr. M. Tondo, Lettura di Girolamo Comi, Bari, Adda, 1973, p. 29.

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