La nostra osservazione delle cose riguarda sempre la loro parte superficiale. La conoscenza complessiva è superficiale. Poi, dopo, realizziamo una scelta di quello che vogliamo approfondire. La fase dell’analisi viene dopo. Accade questo anche per le storie di cui siamo protagonisti o spettatori, per i nostri processi di conoscenza. Il contatto fisico è sempre con la superficie. La relazione con la nostra stessa esistenza si verifica attraverso la superficie, con l’istante che arriva e che passa e di cui non ci si rende nemmeno conto.
Allora, in ogni istante si fa esperienza di superficialità, cioè di una modalità di rapporto con il mondo. Forse, a volte, è questa modalità che impedisce al mondo di schiacciarci con il suo peso. A volte è la superficialità del rapporto che ci evita di sentire tutta l’angoscia del mondo, tutto il suo dolore, la sua pena. La superficialità come condizione naturale, inevitabile, della vita, qualche volta rappresenta la salvezza della vita. Forse è per questa ragione che cerchiamo un soffio di leggerezza nei fatti che accadono, nelle storie che si attraversano: per salvarci la vita. Sappiamo perfettamente che ogni calma di mare contiene il subbuglio dell’abisso, che ogni cielo stellato proviene da un caos, da continue incessanti esplosioni di corpi celesti, da ammassi di gas e di energia. Ma se non fermassimo il nostro pensiero alla calma rasserenante della superficie del mare, alla bellezza perfino indefinibile della notte stellata, forse scaraventeremmo noi stessi nel subbuglio dell’abisso, forse saremmo sconvolti dal caos dell’universo. Allora, forse superficialità può anche essere un modo per riconoscere il valore di quello che il mondo manifesta, fa vedere; è un’interpretazione dei segni, dei linguaggi estrinseci con i quali si esprime.
La superficialità non è genericità. Forse è fluidità e obliquità e levità del pensiero. E’ un tocco leggero, un ampliamento dello sguardo, un porsi a distanza per vedere il più possibile, più colori, più forme, un paesaggio più ampio, non prefissare un limite, cercare di arrivare fino allo sfondo, non circoscrivere, non separare, rintracciare il senso delle cose, dei fatti, delle opere, nel loro insieme, nel loro contesto, mettere in relazione un particolare con altri particolari, individuarne le analogie, le differenze, le cause e gli effetti, le interazioni, le metamorfosi. Alla fine della prefazione alla “Gaia Scienza”, Friedrich Nietzsche scriveva: “Oh, questi Greci: loro sì che sapevano vivere! Per far ciò, occorre rimanere saldamente ancorati alla superficie, alla ruga, alla pelle; adorare l’apparenza; credere alle forme, ai suoni, alle parole, a tutto l’Olimpo dell’apparenza! Questi Greci erano superficiali per profondità!”.
Ecco, dunque: probabilmente si potrebbe anche dire che il privilegio della superficialità non è concesso a coloro che non sanno scegliere di essere superficiali per profondità.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 31 luglio 2022]
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