Gli scultori greci erano saliti sull’acropoli, accolti dai principi dei Messapi che controllavano il territorio, con la mediazione dei mercanti greci insediati in questo luogo strategico per i commerci, sotto la protezione della dea, protettrice dei marinai che da lei traevano l’abilità di leggere il moto delle stelle e di interpretare la direzione di venti e correnti marine per una navigazione sicura. Qui era stato costruito il tempio di ordine dorico e bisognava ora realizzare la statua di culto, che si voleva di dimensioni colossali, come le statue che Lisippo aveva realizzato a Taranto; quegli artigiani erano abili nel lavorare il marmo ed il calcare bianco proveniente dalle cave di Ostuni, e sapevano anche fondere statue nel bronzo, ma tutti questi materiali non erano facili da trovare a Castro. Qualcuno però aveva indicato un punto nell’entroterra in cui emergeva la vena di una pietra calcarea di colore dorato, di grana molto fine, bella da vedere, ma soprattutto facile da lavorare: si scopriva così per la prima volta la “pietra leccese” come materiale da scolpire. Gli artisti tarantini avevano immediatamente compreso le enormi potenzialità di questo materiale ed avevano deciso di realizzare con questo tutto l’arredo scultoreo del santuario, a cominciare dalla statua di culto. Avevano selezionato i blocchi adatti a creare un simulacro alto circa tre metri e quaranta, e si era così iniziato a delineare l’immagine di Atena, con scudo e lancia, vestita del peplo, come nella statua del Partenone, ma profondamente diversa da questa. Infatti sul petto non recava l’egida con la maschera terrificante della Gorgone ed indossava un elmo particolare, non quello attico o corinzio, ma un elmo frigio, come si portava nelle regioni dell’Anatolia, ad indicare che quella era la dea venerata a Troia. Anche il panneggio era reso con uno stile arcaizzante, con un voluto riferimento al Palladio, l’antichissima statua venerata nel tempio più sacro sull’acropoli della città, distrutta dall’inganno del cavallo di Ulisse. Gli scultori tarantini avevano cesellato i panneggi con grande cura e con effetti che ne moltiplicavano i giochi chiaroscurali e gli effetti di luce, utilizzando anche la sgorbia, come lavorassero il legno, tanto era facile da scolpire quella pietra.
Il loro maestro aveva poi concepito una grande balaustra che doveva costituire il recinto della zona sacra: lastre di pietra leccese alte circa un metro e mezzo, lavorate a giorno, con un lunghissimo fregio a racemi vegetali, reso con ondulazioni di steli, calici visti di scorcio, nastri a spirale, infiorescenze con composizioni su vari piani, boccioli e spighe, dove i bordi del fogliame sono caratterizzati da un’infinita varietà di soluzioni, sottolineate anche da tocchi di colore rosso. Ma la particolarità di questi rilievi sta nel fatto che le volute vegetali ospitano figure di Vittorie in volo, uccelli, leprotti che saltellano tra i calici floreali, in una ricchissima serie di soluzioni figurative, a simboleggiare la ricchezza e la fecondità della natura. Nasceva così, duemila anni prima, il “barocco leccese”, in cui le caratteristiche della pietra suggerivano invenzioni e soluzioni stilistiche, che sarebbero ritornate, con lo stesso materiale, nella decorazione delle chiese e degli altari del Sei e Settecento salentino.
Con la scoperta, nel marzo scorso, dell’intera parte inferiore, ora la statua di Atena attende il restauro che permetterà di ammirarla in tutta la sua maestosità. Intanto l’Istituto ISPC (Scienze del Patrimonio Culturale) del CNR ha attivato a Castro un gruppo di lavoro MoLab (Laboratorio Mobile), con ricercatori e tecnici provenienti da vari centri italiani, per l’analisi delle sculture con tecnologie innovative: le riprese al microscopio digitale portatile hanno reso possibile rilevare sulla veste della statua di Atena resti di una decorazione in rosso, mentre sui capelli sono state riscontrate tracce di colore giallo, ad indicare che la dea aveva capelli biondi, cosa che non stupisce se si pensa che ella era glaukopis, con gli occhi color del mare. Altri tecnici del CNR hanno realizzato una scansione laser con strumentazioni che permettono di registrare al millimetro le caratteristiche della scultura. Su questa base è stato possibile, per Ivan Ferrari, realizzare il modello tridimensionale dell’intera statua, integrando la testa, finora non rinvenuta, con una scultura dello stesso periodo rinvenuta a Taranto. I risultati di questi lavori saranno presentati nell’autunno prossimo in una Mostra presso il MaRTA di Taranto, dove le sculture di Castro potranno essere confrontate con quelle dello stesso periodo rinvenute nella Metropoli, per coglierne contatti e differenze e per comprendere in che misura i materiali lapidei abbiano potuto condizionare la creatività degli scultori: certamente un’opera in carparo (calcarenite) non poteva raggiungere la libertà espressiva della pietra leccese. Il modello tridimensionale della statua permetterà di “stampare” la copia in scala 1:1, in resina, che sarà per la prima volta presentata alla Mostra, dove la dea troiana di Castro condurrà i visitatori lungo il percorso, alla scoperta di una pagina nuova nella storia della Puglia antica.
[“La Repubblica – Bari” del 29 luglio 2022]