Dallo spoglio dell’archivio di Michele Saponaro, presso l’Università del Salento, sono ricavati i due articoli a chiusura della prima sezione: uno è dedicato allo scambio epistolare fra lo stesso Saponaro, redattore nel biennio 1918-20 della «Rivista d’Italia», e Luigi Pirandello, che lì pubblicò La patente (riduzione teatrale, tradotta dal dialetto siciliano, della novella già edita ‘A patenti), e La commedia dei diavoli e la Tragedia di Dante, una rilettura dei canti di Malebolge che contesta l’interpretazione di Francesco De Sanctis. Se per quest’ultimo, com’è noto, questa fase del poema coincide con la messa in opera del “comico dantesco”, Pirandello pone l’accento sulle circostanze drammatiche e dolorose che ne hanno motivato la stesura, cioè le accuse di baratteria da lui subite; dunque per il drammaturgo siciliano «non c’è affatto la compartecipazione di Dante alla commedia», e l’elemento che meglio descrive lo stato d’animo del poeta è il sarcasmo, «perché troppo buffi, indegni e solo meritevoli di disprezzo sono gli elementi e le ragioni ond’è determinato» (p. 44). L’altro contributo riguarda Eugenio Montale, corrispondente di Saponaro, e fa ulteriore luce sulla collaborazione del poeta genovese a «L’Ambrosiano», di cui lamenta la scarsa attenzione per la critica letteraria («ed io disgraziatamente, non sono scrittore di varietà», p. 62).
La seconda sezione del volume è dedicata a Due poeti fra sud e Europa, cioè Girolamo Comi e Vittorio Bodini, sui quali Giannone ha concentrato buona parte della sua ricerca negli ultimi anni. Al primo sono dedicati due studi: l’Itinerario di Girolamo Comi, già apparso nell’opera omnia curata recentemente dallo stesso Giannone e da Simone Giorgino (Poesie, Musicaos Editore, 2019), rappresenta uno strumento imprescindibile per conoscere la storia personale, la poetica e l’attività culturale dello scrittore. Giunto a questo punto del volume, infatti, il lettore sarà in grado di apprezzare meglio, nell’articolo successivo, l’analisi del Cantico del mare, componimento pubblicato per la prima volta da Comi nel 1934; Giannone approfitta di un oggetto particolarmente trattato nella tradizione letteraria per far emergere i tratti peculiari del poeta leccese, in particolare l’urgenza di mettere in luce la «funzione magica della parola» (p. 92), come lo stesso Comi la definiva.
Desta grande curiosità il contributo dal titolo Un Diario spagnolo inedito di Vittorio Bodini: il Quaderno verde: si tratta di un documento che il poeta leccese iniziò a comporre non appena arrivato a Madrid nel 1947 e conservato oggi presso l’Archivio Bodini, custodito dalla Biblioteca centrale dell’Università del Salento. Giannone illustra alcuni passaggi fondamentali dei colloqui intercorsi fra Bodini e gli intellettuali che frequentavano il Cafè Gijón di Madrid, soprattutto i poeti del gruppo Juventud creadora che facevano capo alla rivista «Garcilaso». Con questi (tra i quali il futuro premio Nobel Camilo José Cela) Bodini insiste su un tema appassionante, ossia la ricezione di Lorca oltre i confini della Spagna. I giudizi dei presenti sono molteplici, e tendono o a ridimensionarne il primato o a criticare l’immagine di Lorca all’estero: per Rafael Montesinos, ad esempio, gli europei si erano «innamorati di Lorca del pittoresco; le nacchere, le chitarre, più che della poesia» (p. 113). Bodini ne conclude che i poeti spagnoli possono distinguersi in due gruppi di lettori “lorchiani”, cioè quelli del Romancero gitano e quelli delle Canciones, per poi constatare come la poesia europea sia in sostanza caratterizzata da due poli d’attrazione: «Valéry, o della poesia colta, Lorca o della poesia popolare» (p. 120). È lo stesso problema, seppur all’interno del genere differente della prosa, che indirizza le considerazioni di Bodini sul cattivo stato di salute del romanzo europeo, afflitto a suo parere da un certo “panlirismo”.
La seconda metà del volume si concentra maggiormente su alcune delle grandi questioni che hanno caratterizzato il panorama letterario italiano a cavallo tra Otto e primo Novecento: prima di tutto il “revival neorinascimentale” di cui si fece promotore Carducci, nel 1863, mediante l’edizione da lui curata de Le Stanze, l’Orfeo e le Rime di Poliziano, e i cui influssi nella poesia successiva sono dimostrati da Giannone prendendo in esame le opere di D’Annunzio, Pirandello e Pascoli. La stessa improvvisa fortuna toccò a Leonardo Da Vinci dal 1939, anno di una grande Mostra leonardesca a Milano. Il «prismatico genio», così lo definisce Montale in un suo articolo sul cinquecentesimo anniversario della nascita (e da qui il titolo di questo saggio di Giannone), entrò nell’immaginario dei più importanti scrittori e intellettuali del secolo: da Ungaretti e Gadda, che scrisse una recensione entusiasta sulla mostra sopraccitata, fino a Cecchi, Sinisgalli, Quasimodo e Italo Calvino, che negli Scritti americani indagherà sulla corrispondenza tra disegno e scrittura in Leonardo.
Sfogliando gli altri saggi del volume, è interessante notare come il nome di Bodini operi da trait d’union: in La linea meridionale della poesia del Novecento, Giannone pone l’accento sulle affinità tematiche e retoriche nelle opere di Quasimodo, Gatto, Sinisgalli, Scotellaro, Carrieri e, appunto, Bodini. Secondo Giannone questi poeti hanno fatto del Sud una «condizione esistenziale» (p. 189) che si declina attraverso alcuni topoi condivisi: dalla condizione di esilio, riscontrabile soprattutto in Quasimodo, alla riscrittura della propria terra d’origine, ad esempio la Lucania evanescente di Si- nisgalli e quella «dolorosamente concreta» (Giannone, p. 191) di Scotellaro. Ma Giannone non si limita mai alla mera glorificazione dei fatti e delle opere originatesi al Sud: l’intento resta quello di fornire le chiavi d’accesso per una storia comune, per cui in saggi come Gli scrittori italiani e la Grande Guerra e nell’ultima sezione del volume, dedicata al fenomeno futurista, insieme alle grandi questioni nazionali un certo spazio è riservato alle esperienze più appartate ma comunque significative per una lettura complessiva.
Se nel contributo Il dibattito sul paroliberismo tra consensi e dissensi l’autore ne ripercorre esaustivamente le fasi formali, il cui punto di snodo in ambito letterario resta l’articolo Futurismo e Marinettismo a firma di Soffici, Papini e Palazzeschi, l’attenzione si sposta poi sul suo mancato attecchimento al Sud, in particolare a Napoli, dove un intervento del 1918 di Benedetto Croce, bersaglio privilegiato dei futuristi napoletani, segnò la fine di questa esperienza, da lui paragonata a una «nuova epidemia che si è attaccata alla poesia e all’arte» (p. 247). Alle brevi parentesi futuriste in Campania, Basilicata e Calabria, Giannone accosta così il ritratto di un giovane Vittorio Bodini che, appena diciottenne, vede in Marinetti un’occasione di riscatto e ‘svecchiamento’ della provincia, tanto da mettersi a capo del Futurblocco leccese. È un’esperienza fugace ma significativa, perché in questo contesto si concretizzano le prime prove da poeta; in La macchina volante nella poesia futurista degli anni Trenta, Giannone evidenzia la resa sorprendente dei versi bodiniani, in cui l’im- magine dell’aereo, «di insolita grazia» rispetto agli «stereotipi meccanicistici degli altri futuristi» (p. 234), rappresenta un’opportunità per allargare lo sguardo su questa fase peculiare della poesia italiana: «È da un’ora/ che questo accento / circonflesso / d’alluminio / sta rovistando l’azzurro / nella ricerca / d’una dolce vocale di cielo!» (Vittorio Bodini, Areoplano, ivi).
[«SinestesieOnline», XI, n. 34, 2022]