di Gianluca Virgilio
Il rapporto uomini e animali, secondo Claudio Magris, Danubio, in Opere I, I Meridiani Mondadori, seconda edizione, Milano 2016, p. 1059: “Il disagio della civiltà, magistralmente evocato da Freud, nasce anche da un’insanabile contraddizione. La civiltà e la morale si basano su una distinzione necessaria e difficilmente fondabile, quella fra uomini e animali. È impossibile vivere senza distruggere la vita animale, non fosse altro quella di minime esistenze che sfuggono alla nostra percezione, ed è impossibile riconoscere agli animali dei diritti universali e inviolabili, considerare kantianamente ogni animale un fine anziché un mezzo; la fraternità solidale può abbracciare l’umanità, ma sia arresta ad esse. Questa impossibilità rende inevitabile la separazione fra mondo umano e mondo naturale e costringe la cultura, che si batte contro le sofferenze inflitte agli uomini, a costruire il suo edificio sulla sofferenza animale, cercando di lenirla ma rassegnandosi a non poterla eliminare. L’irredimibile dolore degli animali, popolo oscuro che accompagna come un’ombra la nostra esistenza, getta su quest’ultima tutto il peso del peccato originale.”
Dunque noi umani siamo condannati non solo ad infliggere immani sofferenze agli altri animali, ma anche a sentirne tutto il senso di colpa. Facciamo il male senza nessuna prospettiva di poterci redimere. Non potremo mai sapere se il leone che sbrana il cerbiatto o il serpente che ingoia il topo provano la stessa cosa alla fine del loro pasto, quando godono del riposo indotto dalla sazietà. Pertanto, chi ipotizza che è la nostra separazione dal mondo animale e, dunque, la nostra cultura, a renderci sensibili alle sofferenze animali non ha più ragione di chi pensa che noi non siamo affatto separati dal mondo animale, che siamo animali noi stessi e che il senso di colpa in noi non sia che una sorta di acido gastrico adatto a favorire una migliore digestione.