di Adele Errico
New York, Long Island. Estate 1922.
Se si potesse immaginare il Paradiso, probabilmente sarebbe una delle feste descritte nei romanzi di Fitzgerald. Personaggi “belli e dannati” vanno e vengono, leggeri come falene, da giardini azzurri luccicanti di stelle, fra musiche, bisbigli e champagne. Sale sgargianti di colori e pettinature e “scialli che superano i sogni di un castigliano”. E ancora fiumi di gin e liquori, orchestre che suonano musiche da cocktail e cori di voci in un confondersi di volti “mutevoli come il mare sotto la luce sempre cangiante”.
Il re di questo Paradiso è un angelo. Un angelo giovane ed elegante, dal sorriso che ispira “eterno incoraggiamento”: Jay Gatsby, “Il grande Gatsby”.
Angelo caduto alla ricerca di un Paradiso perduto, eroe romantico che si erge titanico sulla bellezza della New York degli Anni Ruggenti – sull’incantata mescolanza di uomini perbene, truffatori, donne affascinanti e sprezzanti, ville fiabesche e automobili smaglianti – Gatsby è prigioniero di un sogno. Sogno che risponde al nome di Daisy. Un viso bianco accostato al suo, teso sul punto di dargli un bacio che imprime sulle sue labbra un marchio, sigillando in un soffio d’alito le ambizioni, le visioni, i desideri di lui.