di Giuseppe Virgilio
Nel 1818 l’editore Antonio Cortesi pubblica a Macerata un libro intitolato Analisi delle idee ad uso della Gioventù, il cui contenuto è tutto immerso e fondato sul pensiero sensista: analisi del Corpo dell’Anima; genesi, crescita e impedimento degli aspetti cognitivi del sapere; operazioni e affetti dell’Anima fino alla dissoluzione del Corpo. Ne è autore il barnabita Mariano Gigli, professore di Geografia e Algebra nel Regio Liceo di Musone, dipartimento di Macerata durante il Regno Italico tra il 1805 e il 1814. Passano quattro anni e nel 1812 Leopardi, che è ancora un giovanetto di appena quattordici anni e indossa ancora l’abito di chierichetto per servir messa, scrive il Dialogo filosofico sopra un moderno libro intitolato “Analisi delle idee ad uso della Gioventù” in risposta all’opera del barnabita, dando così luogo a una interessante disputa intellettuale fin qui trascurata dalla critica leopardiana[6].
Quanto al genere letterario della sua operetta, il modello viene a Leopardi dal secondo dei quattro opuscoli sopra il lusso dell’abate gesuita Giambattista Roberti, intitolato Dialogo filosofico contro il lusso (gli altri tre sono: Discorso cristiano contro il lusso; Elogio dell’economia regolatrice del lusso; Lettera critica sulle qualità del lusso presente in Italia). La cornice spaziale dell’azione è la bottega di un libraio dove si incontrano un letterato, in cui si incarna Leopardi (i lunghi giorni passava in seno alle Lettere, e trà le filosofiche meditazioni) e un giovane cavaliere, che incarna il prototipo del Libertino. Siamo ben lontani dal locus amoenus dei dialoghi tradizionali del ‘400 e del ‘500, manca cioè il tripudio di danze, di canti e di suoni. V’è invece una temperie distesa e idonea alla feconda dissertazione dialettica, propria di una tranquilla provincia italiana come quella marchigiana.