di Giuseppe Virgilio
Negli ultimi decenni del secolo che muore, c’è stata senza dubbio un’accelerazione, da parte dei leopardisti, dello studio intorno al ruolo dello Zibaldone rispetto alla formazione culturale del poeta. Il pensiero di Leopardi è stato così rivisitato alla luce della sua fondamentale rivendicazione del regnum hominis. Leopardi difatti non chiama in causa in tutta la sua opera l’uomo singolo in rapporto con gli altri, bensì l’uomo in sé che viene sollevato di fronte alla natura e di fronte a Dio. Ne nasce una forma di antropologia leopardiana che supera la metafisica e si caratterizza per esigenze di socialità e di umanità in virtù di un’assidua meditazione sul destino dell’uomo.
Chi studia lo Zibaldone rileva che a distanza di tre anni dall’inizio della stesura dei pensieri (1817), Leopardi grazie alla diffusione dei lumi e alla estinzione dei pregiudizi, fulcro della cultura del Settecento, rinviene e afferma il principio secondo il quale la politica è la fonte della cognizione di tutte le classi. La politica però deve cospirare con la morale per impedire che questa divenga scienza morta e puramente speculativa.
In data 9 novembre 1820 leggiamo in Zib. 311 la seguente perentoria e aforistica osservazione: