di Adele Errico
“Tutto in lui era vecchio tranne gli occhi che avevano lo stesso colore del mare ed erano allegri e indomiti”.
Il mare, lui, se lo porta dentro gli occhi. Sono una cosa sola, lui e il mare. Lui è Santiago, il vecchio menzionato nel titolo del romanzo di Ernest Hemingway, “Il vecchio e il mare”. È vecchio, sì, ma non quanto il suo amico, il mare, che è vecchio quanto il mondo. È il mare tropicale di Cuba, che riflette il sole che gli ha fatto la pelle a chiazze e che gli dà da mangiare, gli dà da vivere. Ma non sempre: a volte lo strema e lo mette alla prova e lo lascia affamato e con la pelle scottata dal sole al largo, per giorni. È da tempo che la pesca è sfortunata. Sono 82 giorni che il vecchio non riesce a pescare neanche un pesce. Il solo affetto di Santiago – oltre al mare, si intende – è un ragazzo che, da quando aveva cinque anni, lo accompagna in mare: “Ricordo tutto, dalla prima volta che siamo andati insieme”, gli dice il ragazzo che si prende cura di lui come fosse suo padre e per lui si preoccupa e gli offre lui da bere sulla terrazza perché sa che il vecchio è povero. Ma sono troppi giorni che Santiago non prende nemmeno un pesce e i genitori del ragazzo hanno deciso di mandarlo a lavorare su un’altra barca. “Dormi bene, vecchio” gli dice il ragazzo e, quando il sole cala sull’ottantaduesimo giorno, lo lascia a sognare “l’Africa quand’era ragazzo e le lunghe spiagge dorate e le spiagge bianche, così bianche da far male agli occhi, e i promontori alti e le grandi montagne brune”.