I rischi dell’autonomia differenziata

  • Non è del tutto chiaro se il progetto autonomista si baserà sulla spesa storica o sui livelli essenziali delle prestazioni. I livelli essenziali delle prestazioni, nella definizione datane dal Ministero per il Sud e la coesione territoriale, sono quei servizi e quelle prestazioni di carattere sociale che lo Stato deve garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Questi servizi sono erogati dagli Enti locali data la condizione che il loro godimento sia uniforme sul territorio nazionale, ovvero che non esistano discriminazioni fondate sul luogo di residenza. Non esiste, ad oggi, una quantificazione dei Lep, se non parziale. Nel riparto delle risorse su scala regionale, si è fin qui proceduto in base al criterio cosiddetto della spesa storica: le risorse sono state assegnate sulla base di quanto già speso dall’ente per il medesimo servizio. Il risultato è che gli enti che assicuravano determinati servizi hanno ricevuto più risorse rispetto agli enti che non li avevano mai erogati.  E’ solo nell’ultimo Disegno di Legge di Bilancio (2022) che si è proceduto a definire i Lep per gli asili nido, il trasporto scolastico degli studenti disabili e per gli assistenti sociali, recependo le direttive del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
  • Vi sono poi problemi tecnici nella quantificazione dei cosiddetti residui fiscali, sulla cui base verrebbe stabilita la quantità di entrate fiscali che ciascun territorio può trattenere in loco.  Innanzitutto, il calcolo dovrebbe anche tener conto delle produzioni intermedie meridionali che entrano nelle produzioni finali delle imprese del Nord. In secondo luogo, il residuo fiscale subisce significative oscillazioni nel tempo correlate al ciclo economico e alle politiche economiche ed è peraltro molto differenziato all’interno dei territori più ricchi. Si calcola, a riguardo, che ben il 60% del Pil lombardo viene prodotto nella sola città di Milano. La spinta secessionista potrebbe diventare incontrollabile, producendo istanze di rivendicazione di risorse sempre più localistiche.
  • Il progetto autonomista, secondo autorevoli costituzionalisti, confliggerebbe in modo stridente con il dettato costituzionale, sebbene formalmente ammissibile. Viene sostenuto che il rafforzamento delle competenze regionali su materie quali scuola, tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; tutela della salute; istruzione; tutela del lavoro; rapporti internazionali e con l’Unione europea e molto altro confligge con il patto di solidarietà della nostra Costituzione. In tal senso, i meridionalisti che si riconoscono nella “Carta di Venosa” propongono di rivedere gli articoli della Costituzione che danno spazio a istanze secessionistiche.

Vi è poi da considerare che l’autonomia differenziata potrebbe costituire un boomerang per le stesse regioni del Nord. Per comprenderne le ragioni, si parta dalla constatazione per la quale il Mezzogiorno non è più un rilevante mercato di sbocco per le imprese del Nord. Non lo è a causa del calo dei consumi, imputabile alla crescita del tasso di disoccupazione e della povertà, dell’incidenza del lavoro precario, della denatalità (quest’ultima più intensa a Sud che a Nord): è stato calcolato che la perdita di prodotto tra il 2007 e il 2019 è stata pari al 2% nel Centro-Nord e al 10% nel Mezzogiorno, confermando quella che nell’ultimo rapporto Bankitalia sui divari territoriali viene considerata una tendenza (all’aumento appunto di tali divari) comune alla gran parte delle economie avanzate, Germania esclusa.  Contestualmente, la Germania ha rafforzato la sua posizione di primo mercato di sbocco delle merci e dei prodotti intermedi italiani (esportiamo prevalentemente componentistica auto, chimica, metalli, apparecchi elettrici e prodotti alimentari, fra i quali ortaggi e frutta). In tal senso, la richiesta di autonomia può essere letta come il tentativo, per le regioni del Nord, di accelerare la loro integrazione con l’economia tedesca, in una condizione di estrema crisi dell’industria del Nord. Il problema, posta la questione in questi termini, è che il Nord finirebbe per sincronizzare il suo ciclo economico a quello della Germania, rischiando di diventarne l’area più debole. Peraltro senza voce in capitolo sulle decisioni di politica economica lì assunte.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 1° luglio 2022]

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