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Stride il carro sul viottolo, tra le assi
il cane abbaia dietro la coda del cavallo.
La volpe si marita se piove con il sole.
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Sera fumida d’autunno, nella stanza il pianto
del violino incendia il passo della tarantata,
il ballo è spasimo di grazia e di tremore.
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Figure e accadimenti si dissipano nell’aria,
ma le partenze sono fili scuri,
le partenze con gli addii lungo i binari
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nelle sere di scirocco, l’odore di mosto
rimasto nella piazza, mentre sale la luna
d’arancia sopra le torri delle masserie.
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Su quale strada di polvere bianca
sono ora i volti ruvidi, i volti di gesso
usciti dalle cave seguendo i muri a secco?
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Nel pulviscolo traspaiono figure : donne
al ricamo nella penombra, spaccapietre
impolverati, braccianti in attesa alla colonna.
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Il tempo scrosta l’affresco, la sinopia
è filigrana opaca di destini. Uomini
sull’uscio narrano la guerra. All’ombra
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del menhir la ricordanza è aspra. E sono
i giorni delle terre occupate, della rivolta
nell’arsura meridiana presso le scogliere.
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Sono i giorni della grandine sull’uva,
della festa con cupole e minareti azzurri,
della mazurka nella stanza disadorna.
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Ti sveglia il grido del ragazzo che vende
i frutti rugiadosi della macchia
o il richiamo della mercantessa dal baroccio.
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Qui è la torre sveva. La strada per il mare
è una riga tra gli ulivi. In alto migrano
stormi. Migrano pensieri, in questa luce
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che è visita dell’aurora nella sera.