La prima sezione, dunque, intitolata Amore in cinque tempi, è un piccolo canzoniere amoroso dedicato alla moglie, la compagna di una vita, con la quale perdura un rapporto che si nutre di piccole attenzioni reciproche, di minimi “gesti quotidiani”, come lo stendere i panni del bucato da parte di lei (Amore e pudore) o fare la spesa in un supermercato da parte di lui (Atti quotidiani). Anche questi gesti, infatti, costituiscono un modo per sentirsi uniti. Anzi sembra che la vita acquisti senso proprio in quei momenti, come negli umili oggetti dimenticati in un cassetto che a volte si riscoprono e assumono, alla maniera montaliana, valore di magici amuleti che ci permettono di vivere (Talismani).
Non a caso, in una delle più riuscite composizioni della raccolta, l’autore, con una serie di domande in crescendo, si interroga sul senso profondo delle cose, degli oggetti che ci circondano e, alla fine, delle nostre emozioni, dei nostri stessi sentimenti:
Cosa c’è dentro, proprio nell’anima delle piante
dei giardini pubblici e dei vasi domestici,
nelle radici esilissime come ragnatele?
E dentro, proprio dentro le piante carnivore
dentro quei fiori che s’aprono al sole
e proteggono la luce dal buio notturno?
[…]
E dentro i tuoi occhi, dentro i pori della pelle?
Cosa c’è dentro, proprio dentro i capelli ramati
le unghie verniciate di colori pastello?
E dentro il cervello che produce emozioni
a volte paure a volte felicità improvvise,
cosa c’è dentro i palpiti del cuore?
(L’anima delle cose)
La compagna, in ogni caso, sembra essere il punto di riferimento fisso per il poeta, la sua àncora di salvezza, anche se il passare del tempo fa dimenticare gli inizi della loro storia d’amore e fa confondere le parti tra i due innamorati (Antilope e leone). Alla fine, però, tutto ciò che sembra disperso nella memoria (suoni, gesti, colori, ricordi) riconduce sempre e soltanto a lei (La strategia del ragno).
La seconda sezione, Salento flagellato, è invece una dichiarazione d’amore del poeta per la sua terra, il Salento, visto a trecentosessanta gradi, in tutti i suoi aspetti, storici, paesaggistici, artistici, ma anche economici, sociali, ambientali. Perché se, da un lato, nella lunga composizione Per il Salento (quasi una lauda), emergono i colori, gli odori, il fascino di questa terra, dall’altro si affacciano i problemi, vecchi e nuovi, che l’affliggono e la “flagellano”. Ecco allora, in un intreccio inestricabile, i riferimenti al passato, ai popoli che la invasero e la sottomisero, alla sua gente, alle bellezze artistiche e naturali di cui essa è ricca, ma anche alla malavita organizzata, all’inquinamento, alla cementificazione delle coste, alla mancanza di lavoro e al lavoro nero:
Salento di sofisti e di accattoni
Salento di baroni e di borboni
Salento di costiere e di cemento
Salento di industriali in fallimento
Salendo di riscatto e sfruttamento
Salento di rimorso e turbamento
Salento di caporali e braccianti
Salento di martiri e briganti
Salento di emigrati e pensionati
Salento di drogati e di sballati
Salento di normanni e saraceni
Salento di cattedrali e veleni
Salento dolce e amaro come fiele
Salento di fanciulle come miele.
Salento perché t’hanno flagellato?
Più giocate sul versante della leggerezza sono, invece, Acrostico multiplo, dove le prime lettere di ogni verso delle quattro quartine compongono la parola “vino”, in omaggio all’“oro rosso” di questa terra, e Salento adunco, con l’insolita immagine del Salento paragonato a un vecchio “allampanato, / leggermente adunco”, a causa della sua configurazione geografica.
Nella terza sezione, Poesie alla macchia, Trisolino conduce una sua personale riflessione sulla poesia, che per lui è una costruzione lenta, che si fa giorno dopo giorno, “mattone sopra mattone” (Ogni poesia è un mattone). La poesia è ricerca di parole non pronunciate mai finora da altri, rimaste nascoste nel buio dei millenni (Alba pratalia), comincia con una emozione che prende alla gola ma poi matura da sola e si dona agli altri (Confessione). Essa però ha bisogno di concentrazione, di solitudine, rifiuta il clamore e le moltitudini:
Ha due occhi strabici
che sembrano guardare
da una parte,
invece stanno fissi altrove
La poesia ama la leggerezza
di poche parole meditate
piuttosto che le pletoriche gridate
di comizi e romanzi.
(Poesia alla macchia)
Collegata a questa concezione della poesia è l’osservazione di vari aspetti della società contemporanea, che l’autore conduce nella quarta sezione del libro, dal titolo Odio Ménière. Qui, infatti, la poesia sembra costituire una difesa, un argine al “caos” crescente, al disordine del mondo visto “sul punto di precipitare” (Odio Ménière), “in attesa del prossimo diluvio”:
Fiumi d’auto, frastuoni, caos,
fiumi di sillabe, spot, slogan,
fiumi di fumi, celluloide, immagini.
Gli argini romperanno col prossimo diluvio
(In attesa del prossimo diluvio).
E i rumori, gli acufeni percepiti dal poeta, descritti appunto per la prima volta dal medico francese Prosper Ménière nell’Ottocento, diventano una metafora proprio di questo “caos” (uno dei termini-chiave del libro), nel quale è difficile per lui distinguere anche la voce della donna amata. Non a caso vengono presi di mira alcuni fenomeni tipici della realtà attuale, come il conformismo dilagante (Come tante remore) e certi riti collettivi (L’estate).
Ma questa sezione contiene anche le composizioni più “impegnate” della raccolta, nelle quali Trisolino affronta problemi di grande rilevanza politica e sociale, come la disoccupazione giovanile e l’immigrazione. E qui il tono si fa polemico e graffiante, come in Vangelo secondo confindustria e sinistra governativa, dove viene denunciata la mistificazione della politica che illude i giovani con pseudo riforme del lavoro. In Ulissismo di massa, invece, il fenomeno dell’immigrazione di oggi è messo a confronto con l’emigrazione di ieri dei nostri connazionali, dei quali viene descritto il momento dell’abbandono della propria terra con acute osservazioni di tipo antropologico:
I preparativi duravano tempo: il tomolo di terra
assicurato, i panni nel cartone, la famiglia
raccomandata ai parenti, la raccolta del denaro,
il saldo dei debiti all’alimentari, l’abito del matrimonio,
il giro degli addii, la benedizione del prete,
il saluto perfino al cielo, al cane, agli animali del cortile:
decoro della povertà di fronte all’impresa eroica e alla fortuna.
Insieme ai panni le provviste per il viaggio misterioso:
non solo pani ma una disperata speranza,
il luccichio di un ritorno trionfale.
Nell’ultima sezione, Esergo per una madre, prevale nuovamente la sfera intima, privata, come nell’intenso Colloquio con la madre, basato su un immaginario colloquio con la madre scomparsa, in cui emerge il tema della forza della memoria e dei legami affettivi che vanno oltre la fine di una persona cara:
‒ Come ti sbagli, figlio mio!
Se tendi una mano mi tocchi senza volerlo,
nel cantuccio vuoto non c’è solo vuoto,
Non cercarmi, perciò, al cimitero,
cercami nei luoghi che più t’incantano,
nella vita dei tuoi figli che da me discendono.
Ma, anche qui, proprio nell’ultima composizione, Lettera (impoetica) a un figlio, il privato s’intreccia nuovamente con il pubblico, attraverso una sorta di ricapitolazione di questi ultimi decenni della storia d’Italia, caratterizzata da alcuni fenomeni come la corruzione, la criminalità, il legame tra mafia e potere politico. Alla fine però, il poeta sembra mandare un messaggio di speranza al figlio e alle giovani generazioni con l’augurio di una “prossima primavera”, che ricorda l’“alba nuova” auspicata da Rocco Scotellaro per i braccianti meridionali dei primi anni Cinquanta:
I regimi sembrano finiti e sfiniti,
ma gli inganni persistono invisibili.
Ripuliamo le macerie, figlio mio,
invita i tuoi amici: abbiamo bisogno delle mani,
delle idee di tutti.
Nessuno manchi alla festa
della prossima primavera.
Dal punto di vista stilistico, le composizioni di questa raccolta, tutte libere da schemi metrici regolari, sono caratterizzate da un linguaggio comunicativo e da un tono prosastico e discorsivo, che ben si adattano ai temi trattati dall’autore, basati, come s’è visto, sull’esperienza quotidiana e sull’osservazione del reale. Non a caso prevalgono le figure retoriche della ripetizione che sono tipiche della poesia d’ispirazione realistica. Tra queste, spicca l’anafora, presente in varie composizioni, come Amore in cinque tempi, L’anima delle cose, La strategia del ragno, Il mio autunno, Il grumo che brucia, Per il Salento (quasi una lauda), basata interamente su una struttura anaforica proprio come alcune laudi di Jacopone, e In attesa del prossimo diluvio. Ma anche l’epifora è presente in La scuola del fare, mentre epifora e anafora si ritrovano nella lirica In fuga.
Frequente è anche l’enumerazione che compare, ad esempio, in Amore e pudore, Atti quotidiani (nei versi con la lista di prodotti da acquistare al supermercato), Talismani, Odio Ménière, In attesa del prossimo diluvio (nei versi citati poc’anzi), Ulissismo di massa. Altri tratti tipici del parlato, che mirano al coinvolgimento del lettore, sono i moduli interrogativi che compaiono, tra l’altro, in L’anima delle cose, Come porrìa, Come tante remore.
Quasi assenti sono, invece, le analogie e le immagini simboliche, caratteristiche della linea novecentista della poesia italiana contemporanea. Una analogia si può rinvenire in Alba pratalia: “le mie [parole] sono un fiume in secca”. Poche anche le similitudini, tra le quali ricordiamo: “come ragnatele” (p. 10), “come un tenero / raggio” (p. 17), “come neve al sole” (p. 18), che riprende quella contenuta nella lirica Parole di Umberto Saba, “come botti / In fermentazione” (p. 24), “come lacrime silenti” (p. 48), “come guerrieri silenziosi” (p. 48).
Il lessico è semplice e lineare, non ha asprezze espressionistiche né ricercatezze letterarie. Spiccano alcuni termini (e una espressione) stranieri, entrati ormai nell’uso comune, come i francesismi lingerie e l’espace d’un matin, ma soprattutto gli anglismi, come discount, spot, tablet, teen ager, piercing, slogan, reality, shaker, casual, gossip, holding, che fanno riferimento, quasi sempre, a quella massificazione della società “aborrita” dall’autore (Il mio ’68). Sono presenti, infine, anche alcune espressioni latine, come ordo rerum, motu proprio, terribilis dictu, nescio, che sembrano contrapporsi idealmente, con la loro pregnanza, ai termini stranieri e a ciò che essi rappresentano.
[Prefazione a G.
Trisolino, Odio Ménière, San Cesario
di Lecce, Manni, 2017; poi in A.L. Giannone, Scritture meridiane. Letteratura in Puglia nel Novecento e oltre,
Lecce, Edizioni Grifo, 2020]
[1] San Cesario di Lecce, Piero Manni, 2017.
[2] Manduria, Lacaita, 1987.
[3] Venezia, Edizioni del Leone, 1996.