I due poli della poesia di Gerardo Trisolino

di Antonio Lucio Giannone

La poesia di Gerardo Trisolino oscilla costantemente tra due poli: l’io e il mondo, la dimensione privata e quella pubblica, il ripiegamento interiore e la riflessione sul reale, sulla storia, sulla società. Anche Odio Ménière[1], la sua terza raccolta di versi dopo La cravatta di Stolypin[2] e Il giovane clochard[3], ricalca questo schema bipolare nelle cinque sezioni in cui è articolata. La prima e l’ultima sezione riguardano, infatti, la sfera intima, privata dell’autore che, giunto a una certa fase della sua vita (“il suo autunno”, come scrive in una lirica), fa una sorta di bilancio esistenziale. La seconda e la quarta affrontano, invece, aspetti e problemi della società odierna ma anche del recente passato. Ma mentre nella seconda sezione Trisolino rivolge l’attenzione al territorio in cui vive (il Salento), nella quarta allarga lo sguardo a un’area più ampia, com’è naturale in un’epoca di globalizzazione come la nostra. Al centro, infine, quasi come una pausa tra questi due momenti, si colloca la terza sezione, Poesie alla macchia, che vuole essere una riflessione sulla poesia e sul posto che essa occupa nel mondo d’oggi.  

        Non bisogna pensare, però, che sfera privata e dimensione pubblica siano completamente separate perché in effetti le osservazioni sulla società emergono proprio dal vissuto dell’autore, dalle sue personali esperienze di vita e di lavoro, dall’attività politica da lui svolta, e quindi dalle sue più radicate convinzioni che sono ben visibili in alcune composizioni. D’altra parte, la migliore definizione di sé stesso l’ha data proprio Trisolino, che nella poesia Autoritratto si definisce un “contemplattivo”, intendendo indicare, con questo termine da lui coniato, la tendenza all’introspezione e quella all’azione, intesa come sguardo critico sulla realtà e presa di coscienza dei problemi della nostra epoca.

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