E’ dunque impossibile sostenere che la ripresa dell’inflazione sia dovuta agli incrementi salariali ed è impossibile attendersi che ciò accada a breve. La ripresa dell’inflazione (+ 6.9% su base annua, secondo le stime preliminari dell’ISTAT) è semmai imputabile al combinato della strozzatura delle catene di approvvigionamento globali e della speculazione. La speculazione accresce i profitti degli intermediari e riduce i redditi reali dei percettori di redditi bassi e fissi. Il prezzo sul mercato reale non è che una piccola parte del prezzo finale del gas. Su questo incide appunto la speculazione finanziaria fatta da fondi di hedge, banche e altri operatori che di fatto scommettono sul prezzo stabilito dall’hub di Amsterdam e su altri listini. Si calcola che sono esposti a un simile fenomeno ben 218 soggetti finanziari e 164 sono apertamente speculativi a fronte del fatto che i soggetti commerciali, quelli che realmente commerciano gas, sono solo 134. In sostanza, sono gli alti profitti non gli alti salari a generare incrementi dei prezzi. A questa conclusione arriva un’importante ricerca di John Bivens dell’Economic Policy Institute, che ha confrontato i fattori che hanno guidato la crescita dei prezzi tra il 1979 e il 2020. Il rapporto fra il costo del lavoro per unità di prodotto e i profitti aziendali si è invertito a seguito del Covid, dimostrando empiricamente che la dinamica dei prezzi non è influenzata da quella dei salari.
Per quanto attiene alle prospettive, in assenza della volontà politica di fronteggiare la questione salariale in Italia (sono solo Sinistra italiana e Movimento 5 stelle a sostenere la proposta del salario minimo), la caduta dei salari reali non può che continuare. Infatti, le politiche monetarie e le politiche fiscali assumeranno – come annunciato – un segno restrittivo per far fronte all’impennata inflazionistica nell’Eurozona. L’aumento dei tassi di interesse BCE riduce gli investimenti, la domanda aggregata e l’occupazione, indebolendo ulteriormente il potere contrattuale dei lavoratori. Analogo effetto viene generato dalle politiche fiscali restrittive, che, secondo i Paesi frugali dell’eurozona, dovrebbero essere rapidamente ripristinate dopo la parentesi del Next generation UE. Vi è poi l’opposizione politica al salario minimo: essa deriva sia dalle imprese, timorose di minimi imposti per legge troppo alti, sia dai sindacati, timorosi che la legge possa ridurre il peso della contrattazione. Ma su quest’ultimo punto occorre un chiarimento. La recente esperienza tedesca mostra che i minimi salariali e la contrattazione non si escludono a vicenda. L’IG Metal, il principale sindacato tedesco, sta contrattando infatti incrementi retributivi nell’ordine dell’8.2% nel settore dell’acciaio, mentre il Governo annuncia l’intenzione di portare il salario minimo dagli attuali 9.82 euro orari ai 12 euro orari entro la fine dell’anno. L’Italia sconta a riguardo il duplice problema dell’assenza del salario minimo e del proliferare di contratti pirata, in attesa della legge sulla rappresentanza attesa ormai da decenni.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 23 giugno 2022]