Le prime composizioni comprese nel volumetto Due momenti di poesia risalgono dunque al 1942-‘43, cioè agli anni della seconda guerra mondiale, e a quel tragico avvenimento esse sono ispirate. Marzano viveva allora a Milano e in quegli anni decide di esprimersi anche con le parole per manifestare forse più direttamente tutto il suo dolore per i lutti, le distruzioni, i disastri provocati dalla guerra. Non a caso il sentimento prevalente è la solitudine, l’angoscia, la «noia», il «vuoto» del cuore, come scrive in Oggi il mio cuore è vuoto:
Oggi il mio cuore è vuoto
come una strada deserta
dove, fra lunghe file di case,
mute nel sonno,
risuona il passo
dell’uomo solo…
(p. 21).
In queste poesie è descritto un paesaggio urbano desolato e sconvolto, dove le strade sono percorse da cortei di «carri neri» che trasportano morti provocati dai bombardamenti (22 ottobre 1942), e il silenzio della notte è squarciato «dalla trista sirena d’allarme» (Plenilunio 1943). In città è facile imbattersi in fabbriche di esplosivi dove «si prepara la morte in tubetti, / lucidi, argentei, perfetti», e da questo «orrore» il poeta vorrebbe «fuggir lontano» (La fabbrica). Anche l’umanità è segnata nel corpo e nello spirito dalle drammatiche vicende belliche. Infatti le sole presenze che si affacciano in questi versi sono quelle di un «pallido ufficiale mutilato» che si reca a un concerto in «un carrozzino» accompagnato dalla «sposa / bionda, elegante» (Concerto) e quella di un bambino che prega per il ritorno a casa del papà dalla guerra (Una voce dal cielo).
Affiora allora la riflessione di tipo esistenziale, come nella poesia Il tempo, dove l’autore giunge alla sconsolata conclusione che la «vera essenza» del tempo consiste in una «fantastica sfilata / di giorni, mesi ed anni / verso l’inafferrabile / grande felicità!», anche se in lui permane l’«ansia» di ritrovare Dio «sempre e dovunque» (Preghiera).
Solo a tratti emerge una maggiore serenità, come in I fiori dove, di fronte alla visione improvvisa di un mercato di fiori «sull’asfalto d’una strada / del centro cittadino», l’anima del poeta si scuote «di dosso / tutta la noia e ride».Qui si può notare anche un ricco cromatismo che fa pensare immediatamente a certe tele del pittore:
Festa di corolle
rossi cupi di sangue
lacche porporine
e cobalti, oltremare,
cerulei come occhi di fanciulla,
gialli sontuosi
e rosa come carni palpitanti
e candori di neve
e bianchi lattescenti
cantano in coro
la più bella canzone
(p. 27).
Anche in Bozzetto è descritta una scena di vita quotidiana in un quartiere periferico di Milano, di gusto quasi crepuscolare, come tante tra quelle disegnate e dipinte da Marzano, dove spicca il contrasto cromatico tra il «bianco» di un «cielo di periferia», il «verde »della cupola d’una chiesa e il «nero» dei vestiti di una «donnetta» che «va, rasentando un muro / e il vento le gonfia la veste».
Non manca, in questa prima sezione del libro, una composizione che è una sorta di dichiarazione di poetica, intitolata proprio Poesia, nella quale la creazione è vista, un po’ alla maniera romantica, come una ispirazione improvvisa da cui è preso il poeta, a cui basta una «parola-chiave» per poter poi continuare a comporre:
làsciati andare
così, nel nulla
e aspetta solo che al suo passaggio
la prima, magica parola-chiave
conduca rapida
l’agile schiera delle sorelle,
limpide gocce di fantasia
per la tua sete di poesia
(p. 37).
Nelle poesie più recenti, che fanno parte della seconda sezione (1972-‘73), sono più evidenti i rapporti con la pittura di Marzano. L’oleandro e Morte di vegetali, ad esempio, sembrano la trasposizione verbale di certi suoi dipinti, che sono, a mio avviso, tra i più riusciti e ‘moderni’ della sua produzione. In essi infatti l’artista sembra abbandonare il naturalismo che caratterizza la maggior parte delle sue opere e dà vita a composizioni nelle quali una materia pittoricamente preziosa si contrappone all’umile realtà rappresentata, in una esaltazione dei puri valori formali. Nella prima lirica, L’oleandro, l’intrico di rami, foglie e fiori di un «roseo oleandro», di «foglie bruciate di vite» e «rami di gramigna »sul terreno «bruno e incolto» rappresenta la scena dell’«eterno consumarsi e perire »della natura. Anche in Morte di vegetali è descritto un groviglio inestricabile di rami di fico, foglie secche e un «fusto di ficodindia», che allude al perenne ciclo della natura (nascita – vita – morte). Qui infatti, dove tutto sembra parlare di morte, «riaffiora / la dolce speranza di vita / che rinasce / nell’eterno fluire del tempo».
Anche il paesaggio è un motivo presente nella poesia di Marzano, che è uno dei più sensibili interpreti del paesaggio pugliese e salentino, come dimostrano anche i dipinti raccolti nel volumetto La Puglia di Ennio Marzano, con una Introduzione di Mario Portalupi (Verona, Edizione d’arte Ghelfi, 1972). Si veda, ad esempio, Meriggio salentino, con la descrizione di una infuocata campagna, dove «l’assoluto silenzio è rotto / solo dallo stanco e svogliato / frinire d’una cicala», o Ritratto di paese, dove il paese è descritto con il consueto vivace cromatismo («Bianco paese / aggrappato alla petrosa murgia / percorso da tràini rossi / sotto file di persiane verdi»), fino alla preziosa analogia finale, che spicca nello stile solitamente dimesso dell’autore:
È un ritratto sbiadito,
incorniciato di legno grezzo
ma ancora appeso
alla parete del mio cuore
(p. 61).
Non mancano nemmeno, in questa sezione, poesie dedicate a quelle umili figure di artigiani, contadini, pensionati, minatori, ritratti con particolare intensità nelle sue tele, che qui vengono nobilitati e assurti quasi a simbolo di determinate qualità. Si veda, ad esempio, Il pensionato, dove questi gli appare «come la statua della dignità paziente», mentre, in un’altra poesia, un vecchio contadino è «l’inconsapevole strumento / della più profonda partecipazione / alla vita nel mondo» (Contadino).
In un’altra lirica, Sempre, si affaccia anche un motivo tipico dell’ultima fase della produzione pittorica di Marzano, che rivolse l’attenzione alle «cose semplici» (fiori, foglie, piante, animaletti), scrutandole anche con il microscopio per cercare di scoprirne il loro più profondo significato, fino a raggiungere in alcuni suoi lavori un’astrazione quasi assoluta:
Sempre più mi affascina
la struttura di un fiore,
l’irrequieto volo di una rondine,
il mutare delle nuvole nel cielo
(p. 73).
Ma in questa sezione emergono anche altri temi come il ritorno nella propria terra, il Salento, che avviene dopo la lunga permanenza milanese («E tornai alfine alla mia terra / dopo tanti lustri / vissuti tra brume e cemento», Ritorno). Il ritorno a casagli fa sopportare anche la «noia» di abitare in città, mentre il suo spirito «nel silenzio dei campi / troverebbe libertà / pace e conforto»(La strada). Ecco allora il bisogno di rivedere i luoghi della triste infanzia che segnarono il «suo destino» (Ho voluto rivedere) e il ricordo di un «giovane amore» che egli accoglie ormai con un sorriso distaccato (E sorrido…).
Incomincia inoltre una polemica contro l’apparente benessere della società, l’avanzamento inarrestabile del cemento nelle campagne, l’inquinamento dell’acqua e dell’aria che può portare alla «catastrofe» del pianeta. Da questo grave rischio, in Fratello ascoltami, l’autore sembra voler mettere in guardia i suoi simili con toni quasi profetici:
Tieni gli occhi bene aperti,
osserva quel che accade,
giudica con serenità
ma attento a non partecipare
con soverchia adesione
all’illusorio benessere
di questa folle e suicida
civiltà tecnologica.
Inquinare l’acqua dei fiumi,
uccidere piante ed animali,
rendere irrespirabile l’aria,
nostro primo bene,
per riempire le nostre case
di pacchi e barattoli
è stupida infamia
(p. 64).
In Ad una ad una, ritornando su questo tema, sostiene che «la frenetica insaziabile voglia / del benessere» rischia di distruggere anche i segni del passato:
Le tracce del passato
non vanno demolite
perché sono i rami
appartenenti
all’albero della storia
(p. 69).
.
Così pure incomincia una polemica contro l’invadenza dei mass media, «l’assillante vociare dei radio-telegiornali» e «le fitte colonne di stampa», per cui benedice uno sciopero generale che gli permette di ritrovare, sia pure per un giorno solo, la sua concentrazione e sentirsi vivere, tornando a essere se stesso e «pensando in silenzio» (Per un sol giorno).
Salda resta sempre la sua fede in Dio espressa in una poesia-preghiera (Credo), posta significativamente a conclusione della raccolta, come scrive negli ultimi versi:
credo nel mistero
del numero,
del ritmo
del cosmo infinito,
del primigenio soffio vitale;
credo in Dio
(p. 80).
Nel secondo volumetto, a prevalere nettamente sono le riflessioni esistenziali. Giunto alla fase finale della sua vita, Marzano sembra accettare tranquillamente l’idea della morte. Non a caso ricorre ad alcune metafore, piuttosto semplici e scoperte, che alludono a questo tema: il «misterioso ponte» da attraversare, dal quale vede «distintamente / ma innanzi una leggera caligine» che gli «nasconde l’altra sponda» (Il ponte); il «sicuro porto »in cui entrare alla fine del viaggio della vita, come le barche «nel roseo crepuscolo »tornano «dopo il duro agone / sul mare aperto» (Le vele); il «sole rosso del tramonto »che segna la fine di una giornata e annuncia a ogni uomo «la sua notte senza aurora »(Sole rosso).
Ma il poeta non chiede altro per quest’ultima stagione «se non continuare il ritmo / della sua vita attuale / in un quasi inavvertito passaggio dalla veglia al sonno / e dal sonno alla veglia» e di «vivere la giornata / nell’abituale lavoro / in piena lucidità» (Non chiedo altro). C’è anzi il desiderio di una purificazione spirituale che si contrappone alla progressiva e inarrestabile decadenza fisica:
Procedendo sento che
il mio corpo pena e s’affatica
ma il mio spirito man mano
s’allontana dalle cose terrene
come a cercare un equilibrio
fra corpo che decade
e spirito che si purifica
(Il ponte, p. 15).
E, ancora:
possa la mia anima
nel ritorno in seno
alla forza creatrice
presentarsi pura
come agli albori
della sua presenza terrena
(Eccola, s’avvicina…, p. 19).
In Consuntivo al 1977, il poeta tira un bilancio della propria esistenza e lo giudica in attivo soprattutto per aver avuto il dono di una profonda sensibilità e della capacità di comunicare le emozioni «non con uno ma con due mezzi: / il colore e la parola», e inoltre per avere incontrato una donna «che ha reso più sicuro la sua vita / con la sua dedizione assoluta», nonché per la fortuna di essere stato libero «da pesi mondani e politici».
Emergono allora le immagini di alcune delle persone da lui amate, ormai scomparse da tempo: la sorella, della cui vita ama scegliere «i ricordi più belli e degni »per trasformarli in fiori da posare sulla tomba (In memoriam); la madre che sente «stranamente / sempre più vicina» e che forse un giorno incontrerà di nuovo (Troppo tardi); una amica morta quasi centenaria, Lina, rievocata negli ultimi giorni di vita, mentre, seduta «nella sua ultima poltrona» lanciava «ancora i suoi motti arguti» (Dedica); una giovane artista da lui amata e raffigurata in un dipinto (Ritratto).
Continua anche in questa raccolta, da un lato, la polemica contro la situazione di degrado morale, sociale e politico della società italiana di quegli anni (Italia d’oggi) e contro la violenza che caratterizza la cronaca quotidiana (Foto di «nera») e, dall’altro, l’auspicio di un mondo migliore in un’era «di violenza e di egoismo», che prende spunto dall’adozione di una bambina da parte di una coppia di giovani amici (Lettera). Ma Marzano reagisce anche qui all’invadenza dei mass media, al loro assordante e costante rumore per cui chiede il «silenzio-stampa», «a titolo di tregua», per poter riposare (Silenzio stampa).
Anche il tema della propria terra, del Salento, che diventa l’oggetto privilegiato della sua pittura, è presente in queste composizioni, come in Punta del Faro, dove è descritto il processo di interiorizzazione del paesaggio, che caratterizza anche le tele di Marzano, animate da un profondo sentimento della natura:
È l’aria del mio Salento che amo di più:
silenzio e solitudine,
purezza della natura,
semplicità dell’uomo.
Cielo e mare, rocce ed erbe
s’imprimono nella mia memoria,
ancor più nel mio cuore
finché non verrà il momento
di dipingere il quadro
(p. 71).
E non manca nemmeno un «omaggio» alla sua città, Lecce, dove «rondini sfrecciano / su terrazze e dorati tufi barocchi» e «l’umido vento di scirocco / porta dai giardini / odor di gelsomino e fior d’arancio» (Con amorosa tristezza).
Non presentano particolari elementi di novità sei poesie inedite, composte tra il 1978 e l’81, al centro delle quali c’è, ancora una volta, «il pensiero della morte», l’attesa del «grande silenzio senza fine […], carico di mistero» (Il silenzio). E qui Marzano sembra oscillare tra la certezza che «oltre le nuvole, / vi è l’azzurro / dell’universo infinito / e la luce / e la gloria / e l’eterno», cioè la certezza dell’aldilà, come scrive in Così, serenamente, e gli esiti nichilistici dell’ultima lirica ritrovata, Il terribile nemico:
Poi, sempre fortemente
contrastato dalla speranza,
s’erge paurosa l’ombra
del terribile nemico.
Il suo nome:
“nulla”
[In Ennio Marzano (1908-1984). L’opera ed i segreti della sua ricerca artistica, a cura di I. Laudisa, Lecce, Edizioni Grifo, 2011; e in A. L. Giannone, Scritture meridiane. Letteratura in Puglia nel Novecento e oltre, Lecce, Edizioni Grifo, 2020].