di Antonio Devicienti
L’androne è il luogo di transizione tra la strada (pubblica) e gli ambienti (privati) di un edificio; può esservi presente o meno un portone ed eventualmente una cancellata: l’androne è luogo complesso che possiede la virtù pratica di ospitare talvolta la portineria, sempre di offrire un riparo dal sole eccessivo o dalle intemperie (quando, ovviamente, non ci si trovi di fronte a un portone chiuso). Qui risiede, infatti, la cangiante natura dell’androne: se privo di portone o se quest’ultimo viene tenuto aperto l’androne invita a entrarvi, a sostarvi, se si è spinti dalla curiosità anche a fare un passo più in là, invitati magari dal cortile o dal giardino che vi s’intravede in fondo, trattenuti nello stesso tempo dal timore d’essere importuni o indiscreti; se, invece, il portone è chiuso non esistono alternative: non si entra se non perché si è giunti fin là guidati da un obiettivo preciso (accedere all’ufficio specifico ospitato nell’edificio o far visita a una persona che vi abita).
L’ipotesi principale di questo breve saggio è che ci si abbandoni a una flânerie che abbia scelto quale suo fil rouge l’esplorazione degli androni come piacere in sé – ebbene, l’androne (o andito) si rivela simile al risvolto di copertina di un libro, pur non permettendo al visitatore sempre la medesima libertà concessa invece al lettore: ci si affaccia nell’androne, si ammirano le eventuali modanature che adornano le pareti, i profili delle porte, l’accesso alle scale, si scorge, se c’è, l’inizio del giardino o lo spazio del cortile, si osserva l’eventuale lavorazione in ferro battuto di una cancellata, quella in pietra di una balaustra e poi si va via ( a meno che non sia possibile, per differenti ragioni o scopi, accedere nell’interno dell’edificio) – il lettore, invece, di solito ha libero accesso al contenuto del libro all’interno del quale può girovagare a suo piacere.
L’androne lascia spesso nel flâneur desiderio di quello che non si è potuto vedere, la presenza di una soglia che non è stata varcata.