«Lu senzu de la vita»: la poesia ‘filosofica’ in dialetto di Nicola G. De Donno (Parte prima)

di Antonio Lucio Giannone

La riflessione sull’io, sulla condizione esistenziale, sul senso della vita è uno dei temi costanti della poesia dialettale di Nicola G. De Donno (Maglie, Lecce, 1920 – ivi, 2004)[1], fin dall’inizio della sua attività letteraria. «Si può dire – ha scritto Donato Valli, che del poeta magliese è stato l’interprete più fedele e acuto – che tutta la poesia di De Donno si arrovella intorno all’insolubile problema dell’essere, alla ricerca di un senso da dare alla vita, alla storia, al tempo in generale»[2]. D’altra parte, lo stesso autore ha dichiarato che l’io, insieme al palazzo, cioè al potere, e al paese è uno dei temi privilegiati della sua poesia («E llu palazzu e llu paese, e jeu», «E il palazzo e il paese e io», è infatti il titolo di una sezione della raccolta Lu senzu de la vita[3], «Il senso della vita»): vale a dire la tematica esistenziale, quella paesana, quella satirica ed etico-sociale.

Già nel suo primo libro di versi, Cronache e paràbbule[4] («Cronache e parabole»), è possibile individuare sonetti che sviluppano questo  motivo e così in quelli successivi, Paese [5] e Mumenti e ṭṭrumenti [6] («Momenti e tormenti»). D’altra parte anche in Lu senzu de la vita, il primo componimento, intitolato anch’esso Lu senzu de la vita (nel quale si ritrova già la definizione dell’insensatezza della vita umana, che sarà al centro delle ultime raccolte, cioè «lu senzu senza senzu de la vita», «il senso senza senso della vita») risale – si badi bene ‒ al 1970. Questo motivo però diventa centrale nell’ultimo decennio dell’attività letteraria di De Donno, in particolare in Lu senzu de la vita, appunto, Palore[7]  e in Filosofannu? Cu lle vite, la Vita? Ma la vita è scura[8] («Filosofando? Con le vite, la Vita? Ma la vita è oscura»), che d’ora in avanti, per brevità, indicheremo Filosofannu?.

Questi anni, per il poeta magliese, sono segnati da due  gravi lutti che hanno  contribuito sicuramente ad accentuare il cupo nichilismo espresso nei versi: la morte, nel 1992, del figlio Luigi che aveva scelto improvvisamente la vita religiosa francescana, e, nel 1999, quella dell’editore e amico milanese Vanni Scheiwiller, che aveva pubblicato ben quattro suoi libri di versi. Nell’estrema plaquette, Filosofannu?, che nasce dal fecondo dialogo epistolare, riportato in parte all’inizio, con un valente studioso salentino, Antonio Mangione, questo motivo assume poi un rilievo esclusivo e il poetare di De Donno diviene un ‘poetare-filosofare’ o un ‘pensiero poetante’, per riprendere il felice titolo di un noto libro su Leopardi di Antonio Prete, collocandosi nella linea che da Leopardi arriva a Montale (ma ovviamente gli esempi che si potrebbero fare a questo proposito sarebbero tantissimi, da Lucrezio a Dante, dai Metafisici inglesi a Hölderlin, ecc).

Questa voce è stata pubblicata in Letteratura, Scritti letterari di Antonio Lucio Giannone e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *