“Cantarono nel ‘600”, il documentario ritrovato di Antonio Marchi sul barocco leccese col commento di Vittorio Bodini

Nel documentario In Puglia muore la storia si rievocano rapidamente alcuni momenti della storia di questa regione, dall’antichità al medioevo, attraverso i gloriosi monumenti e le preziose testimonianze che vari popoli hanno lasciato sul suo territorio: le mura megalitiche di Manduria, le tombe di Canne, i castelli dell’età federiciana (Gioia del Colle, Castel del Monte, Lucera), le cattedrali romaniche di Trani, Bitonto, Molfetta, Ruvo, fino alla chiesa palatina di San Nicola di Bari dalle cui mura aperte al mare spira “un soffio di medioevo, un senso vetusto di religiosità”. Tutti questi popoli (messapi, greci, romani, normanni, svevi) che hanno solcato il suolo della Puglia, sconfitti o conquistatori, sono stati vinti tutti, secondo Bertolucci, “dalla natura di questa terra” che è riuscita a prevalere sulla storia.

Il cortometraggio appena ritrovato, Cantarono nel ‘600, si colloca in un periodo particolare dell’attività bodiniana. Lo scrittore era appena tornato a Lecce dalla Spagna dove si era trattenuto circa tre anni e aveva messo al centro dei suoi interessi e della sua immaginazione la propria terra (“Tu non conosci il Sud”) indagandola nei suoi aspetti più profondi. Una chiave interpretativa della sua città per lui era rappresentata proprio dal barocco che non considerava solo un fenomeno artistico e architettonico limitato al Seicento, ma una categoria dello spirito in cui si rispecchiava un disperato senso del vuoto, l’horror vacui, evidente nell’eccesso decorativo delle facciate delle chiese e  dei  palazzi di Lecce. Nel documentario, però, destinato a un pubblico più ampio (di solito questo genere di opere veniva abbinato a un film che si proiettava nelle sale cinematografiche), questa interpretazione è assente e il carattere lirico-evocativo della prosa è sostituito dal tono più neutro e descrittivo del commento parlato.

Ciononostante esso è un documento di particolare rilievo e valore storico-culturale. Bodini incomincia costruire qui il mito della città barocca, “vedova del suo tempo”, dove la storia non riesce a procedere. Le immagini si soffermano su alcuni dei monumenti più significativi del capoluogo salentino: la facciata di Santa Croce, “quasi una selva di figure e di simboli”; la chiesa di  San Matteo che presenta una “più salda e evidente struttura architettonica”, Piazza del Duomo, dove spicca la “sobria intonazione stilistica della chiesa”, opera dello Zimbalo; la chiesa del Rosario, dove “l’arte seicentesca completamente libera raggiunse un suo stato di grazia creando un incanto perfetto”. Ma la macchina da presa mette in luce anche, quasi accarezzandoli, certi suggestivi dettagli: le mensole dei tanti balconi, le cariatidi e gli “strani personaggi” scolpiti nella docile pietra locale.

Non mancano nemmeno i riferimenti ai “segreti legami” con la Spagna e un accenno alle moderne figure di cartapesta, “che forse non meno del barocco hanno resa famosa la città”. Una sorta di filo conduttore è rappresentata dalla processione dei chierichetti e delle “angiolette” che sfilano davanti alle chiese cittadine. Costituisce una curiosità  invece l’immagine dell’antica  fontana con i cavalli alati in Piazza Duomo, successivamente abbattuta. Lo stesso Bodini, infine, compare nel documentario mentre suona la chitarra, quasi a dare il senso di un totale coinvolgimento nella narrazione.

[In “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 9 giugno 2022]

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