di Antonio Errico
Nei confronti della tecnologia si possono soltanto tessere lodi. Perché non solo rende più comoda la vita: qualche volta può anche salvarla. Probabilmente è questa la funzione che assume un’assoluta importanza. I problemi derivanti dalla tecnologia sono determinati dall’abuso che se ne fa, e l’abuso si verifica, solitamente, quando è l’oggetto a dominare il soggetto e non viceversa. Accade con tutto quello di cui si abusa. Anche con i libri può accadere, tanto che l’hidalgo Alonso Quijano si trasforma in Don Chisciotte della Mancia per la follia provocatagli dai romanzi di cavalleria.
Ma dalla tecnologia gli uomini pretendono sempre di più, comprensibilmente, giustamente. Pretendere sempre di più è il metodo della ricerca. Senza questa pretesa non ci sarebbe scoperta, non potrebbe esserci scienza. Così, con consapevolezza e con rammarico, alle volte si prende atto di qualcosa che la tecnologia non può offrire. Per esempio è con consapevolezza che in una pagina del suo saggio intitolato “Contro l’impegno”, Walter Siti dice: “La tecnologia ci potrà forse dare il Tutto ( tutti i quadri del mondo, tutte le musiche, tutti i libri riprodotti e conservati per sempre in giganteschi cloud), ma l’Infinito mai. Ecco: l’Infinito la tecnologia non potrà darcelo mai. Né quello reale, né quello metaforico, simbolico, figurato. Quello metaforico lo abbiamo già avuto in dono duecento anni fa con le parole di una poesia proveniente da un pensiero straordinario che per strumento aveva solo il calamaio. La generò un infelice che allora aveva vent’anni. Si chiamava Giacomo Leopardi. Quella poesia dice l’Infinito con una sinfonia impetuosa e pacata, con una riflessione leggera e profonda sullo spazio, sul tempo, con un affiorare morbido dei sensi, con una musicalità sublime, una dolceamara sensualità, con un inabissamento in un oceano di silenzio, spalancando un vuoto rigonfio di suoni.