Il dialogo e il silenzio

Che a questo capitolo segua, quale Intermezzo dell’intero libro, una lunga, articolata lettura del Simposio platonico, non è affatto un caso, ma la coerente continuazione di una riflessione intorno ai valori e al senso della parola, del dialogo, della riflessione sull’amore, perché il silenzio di Luzi e di Prete davanti al dipinto di Tiziano è proprio il dialogo più appassionato e serrato che possa aver luogo innanzi a una bellezza (e al suo mistero) che annientano i già deboli strumenti della ragione interrogandola, sfidandola, aprendo orizzonti d’enigma e di segreto.

Scrive Andrea Emo: «La parola in sé è sacra; ma essa è vittima della frase, del discorso, del logos. Il suo peccato è il non bastare a se stessa» (La voce incomparabile del silenzio, Carlo Gallucci Editore, Roma 2013, p. 105) – se si assume come vera una tale affermazione, allora è possibile comprendere come due poeti, fermi davanti al dipinto di Tiziano, concordi (cor cum corde) abbiano saputo raggiungere la sorgività della parola proprio tacendo, non violando con i suoni di un discorso per forza insufficiente il più significante e prezioso dei silenzi; anni dopo Antonio Prete rievoca l’episodio usando la scrittura per dire il silenzio, evidente irrinunciabile paradosso del nostro essere necessitati al linguaggio, nel linguaggio immersi e tramite di esso provandoci a dire anche l’indicibile, ivi compreso proprio il più eloquente silenzio.

Il discorso intorno all’amore, che, è chiaro, innerva tutto il libro, si fa esperienza anche conoscitiva ed esistenziale, corporea innanzi a un dipinto tra i più conosciuti – e si potrebbe riflettere addirittura intorno al  “logoramento” concettuale, estetico e rappresentativo di cui sono vittime immagini come la Monna Lisa, per esempio, o la Venere botticelliana e via enumerando; ma nel caso presente è tale la potenza e l’emozione conseguente che l’incontro anche fisico con l’opera di Tiziano assume il senso di una rinascita dello sguardo e del pensiero davanti a quest’alba sempre rinnovata della bellezza.

E la consuetudine a percorrere insieme luoghi amati parlando di poeti ed artisti decisivi per entrambi possiede specularità con i testi di Luzi e di Prete, così spesso attraversati dal respiro dell’andare: già l’accenno all’arrivo in taxi e alla “forte” luce romana fuori della Galleria è traccia di un itinerario d’avvicinamento, di un legame con un tempo precedente e con uno spazio esterno e il cammino continua di sala in sala fino alla rivelazione, dopo la quale non è detto più nulla del prosieguo della visita, ma si riflette sui significati e sulle connessioni filosofiche e artistiche del dipinto – e con le seguenti parole termina il capitolo: «Con questa opera di Tiziano la pittura incontra la poesia: è l’amore il loro campo di incontro. Perché l’amore è – come l’antica sapienza in più modi affermava – principio e respiro delle arti» (op. cit. p. 201).

Mario Luzi, maestro di meditante e fecondo silenzio, è voce ricorrente in un altro libro di Prete, quel Prosodia della natura. Frammenti di una Fisica poetica (Feltrinelli, Milano 1993) dalquale riporto (p. 91): «[…] la materia della poesia per Luzi è il tempo, con i suoi trasalimenti d’infinito, con la spina di una finitudine in cui è bruciato il ricordo, e l’attesa è silenzio»; con Carte d’amore direi che il silenzio diventa, anche, realizzazione di un’attesa e incontro, dialogo senza parole nel quale lo sguardo (gli sguardi dei due amici) s’immerge totalmente nella contemplazione – ed è, come accade con un altro amico-maestro spesso rievocato da Antonio Prete (Edmond Jabès), commosso ricordo, moto della memoria che interrogandosi sull’amore s’interroga sull’assenza-presenza, sul tempo, si fa materia visibile in forma di libro, ché Carte d’amore scaturisce anche dai corsi e dai seminari tenuti dall’autore nell’Università di Siena, dall’attenzione costante ad autori e a testi amorevolmente, oserei dire teneramente studiati negli anni ed ecco che nelle pagine si può avvertire adirittura la presenza ispiratrice di colleghi, allievi, interlocutori (impossibile, infatti, qualunque forma d’arte e di scrittura che non sia colloquio, dialogo), nelle pagine del capitolo sulle quali ci stiamo soffermando il silenzio di Luzi è il suo stesso emozionato respiro davanti al dipinto di Tiziano. L’andare di sala in sala, il fermarsi davanti alle opere esposte, le poche, sommesse parole di sorpresa o di commento sono un muoversi fisico e mentale il quale corrisponde al muoversi del pensiero mentre concepisce le pagine che andranno a formare il libro e le percezioni sensoriali attivatesi durante la contempazione dell’Amor sacro e Amor profano confermano quanto totalizzante sia l’esperienza estetico-amorosa – Carte d’amore non è una rassegna di opere letterarie, d’arte visiva e musicali dedicate al tema, ma il racconto dell’amore come esperienza esistenziale decisiva.

Esiste dunque una fedeltà alla bellezza e all’amore che Mario Luzi e Antonio Prete mettono in atto con il loro dialogante silenzio che non viola la sacralità dell’epifania del dipinto tizianesco, ne accoglie bensì la luminosa verità e che, in queste Carte d’amore, accennavo, naturalmente si continua nelle altrettanto belle pagine dedicate al Simposio, per esempio allorché si parla del “sapere femminile dell’amore” (p. 228) o si riprendono le considerazioni ficiniane circa le “due Veneri” (pp. 215 e 216) perché, non lo si trascuri, sono due le figure ( e femminili) che Tiziano dipinge – e mi piace concludere con queste parole, contenute sempre nel capitolo sul Simposio (p. 218), ma che alla mia sensibilità appaiono riferibili anche al silenzioso dialogo innanzi e con Amor sacro e Amor profano: «Tuttavia quel che diciamo amore può anche essere letto come un principio che […] lascia segni visibili della sua presenza: cammino verso un’armonia che, se è priva di compimento, vale tuttavia per la sua tensione, fatta di segni, di forme, di legami» – e, mi si permetta di aggiungere in maniera temeraria, di silenzio.

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