Reddito di cittadinanza e mercato del lavoro

La prima riguarda la povertà. Non si deve, infatti, dimenticare che la principale funzione del RD è il contrasto all’indigenza, alla diseguaglianza e all’esclusione sociale e che, stando all’ISTAT, sono circa 6 milioni, in Italia, gli individui che vivono al di sotto della soglia di povertà assoluta (impossibilitati, dunque, a procurarsi beni e servizi considerati essenziali), con una significativa accentuazione nel Mezzogiorno. Nonostante la pandemia e la guerra, la povertà in Italia è in riduzione. L’ISTAT certifica che nel 2021 le famiglie povere (in condizioni di povertà assoluta) erano il 7.5%, in calo rispetto al 7.7% del 2020.

Seconda considerazione. I salari reali, in Italia e contrariamente a quanto accade nell’Eurozona, sono in continua riduzione agli anni Novanta e l’Italia non dispone dello strumento del salario minimo, presente invece nella gran parte dei Paesi europei. Questo fa sì che la nostra crescita economica non possa dipendere da un volume sufficientemente ampio di consumi interni, come recentemente certificato dall’ISTAT. Il reddito di cittadinanza, a tal fine, aiuta. Contribuisce, infatti, a tenere alti i salari, aumentando il salario di riserva, ovvero la retribuzione minima che un lavoratore è disposto ad accettare per lavorare.

La terza considerazione riguarda la nostra struttura produttiva. Soprattutto nel Mezzogiorno, essa è fatta di imprese di piccole dimensioni, poco innovative nelle quali è spesso assente la contrattazione collettiva e diffusa quella “pirata”, così come diffusi gli straordinari non pagati, il part-time che è di fatto full-time, i periodi di prova non retribuiti. La loro domanda di lavoro si rivolge, nella gran parte dei casi, a personale poco qualificato nella sostanziale assenza della formazione professionale. I problemi di disallineamento fra domanda e offerta di lavoro nascono da questo: i salari proposti sono troppo bassi per essere appetibili, anche se sono proposti a una platea di lavoratori quasi indigenti. In più, vi è una seria letteratura sociologica, riferita alla condizione giovanile, che spiega che, rispetto agli adulti, i giovani, a parità di remunerazione, sono molto più attenti ai loro diritti: non temono l’impegno, ma lo sfruttamento.

Il RD è ovviamente migliorabile, ma non per ridurne gli importi quanto per ridefinirne i criteri di attribuzione. Uno studio recente de LaVoce.Info ne ha messo in rilievo due criticità.

In primo luogo, Il RD lascia fuori molti poveri, definiti tali in base ai parametri ISTAT o di altri parametri concordati su scala internazionale, a ragione di requisiti di accesso troppo stringenti. Fra questi, la prescrizione stando alla quale gli extracomunitari beneficiari debbano essere residenti in Italia, oppure la sovrastima del patrimonio posseduto come requisito aggiuntivo rispetto al reddito familiare che già tiene conto delle quote da patrimonio, oppure ancora la sottostima della numerosità dei componenti del nucleo familiare (parametro che per contro dovrebbe essere preso adeguatamente in considerazione giacché la povertà si concentra soprattutto nelle famiglie numerose).  In secondo luogo, Il RD viene dato invece a molti soggetti che poveri non sono, a ragione del fatto che difficile capire se questi soggetti siano evasori o lavoratori in nero.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 7 giugno 2022]

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