Viviamo in un mondo contrario alla vita. Alla vera vita, che è fatta di esultanza, libertà e fulgore animale.
Centomila anni luce oltre l’utilità, che la mistica immigrante del lavoro (2) coltiva in noi, fiori perversi nel giardino del diavolo, nome che diamo a tutte le forze che ci allontanano dalla nostra felicità, come io o come tribù.
La poesia è il principio del piacere nell’utilizzo del linguaggio. E i poteri di questo mondo non sopportano il piacere. La società industriale, incentrata sul lavoro servo-meccanico, dagli USA all’URSS, compra, con il salario, il potenziale erotico delle persone in cambio di performance produttive, numericamente calcolabili.
La funzione della poesia è la funzione del piacere nella vita umana.
Chi vuole che la poesia serva a qualcosa non ama la poesia. Ama un’altra cosa. Alla fine, l’arte ha una portata pratica solo nelle sue manifestazioni inferiori, nella diluizione dell’informazione originale. Chi esige contenuti vuole che la poesia produca un lucro ideologico.
Il lucro della poesia, quando vera, è il sorgere di nuovi oggetti al mondo. Oggetti che significhino la capacità della gente di produrre mondi nuovi. Una capacità in-utile. Oltre l’utilità.
Esiste una politica in poesia che non si mescola con la politica che gira nella testa dei politici. Una politica più complessa, più rarefatta, una luce politica ultravioletta o infrarossa. Una politica profonda, che è la critica alla stessa politica in quanto modo limitato di vedere la vita.
L’indispensabile inutile
Le persone senza immaginazione vogliono sempre che l’arte serva a qualcosa. Servire. Prestarsi.(3) Al servizio militare. Dare lucro. Non scorgono che l’arte (la poesia è arte) è l’unica chance che l’uomo ha per vivere l’esperienza di un mondo di libertà oltre la necessità. Le utopie, in fin dei conti, sono soprattutto opere d’arte. E le opere d’arte sono ribellioni.
La ribellione è un bene assoluto. La sua manifestazione nel linguaggio la chiamiamo poesia, inestimabile inutensìle.
Le varie prose del quotidiano e del/i sistema/i tentano di domare la strega.
Ma lei torna sempre a dare noia.
Con la radicale seccatura d’una cosa in-utile in un mondo dove tutto deve produrre lucro e avere un perché.
[Paulo Leminski, Distraídos venceremos Distratti vinceremo, cura e traduzione di Massimiliano Damaggio, L’arcolaio, 2021, pp. 131-136]
(1) Insieme ad altri brevi saggi e articoli, questo “Inutensílio”, fu raccolto nel volume Ensaios e anseios crípticos (“Saggi e ansie criptiche”), 1986, Criar Edições, Curitiba; compare nel libro edito dall’Arcolaio;
(2) Leminski fa riferimento a un altro articolo dal titolo Senza sesso, niente creazione: “Ciò che caratterizza Curitiba è l’immigrante [europeo, italiano e tedesco, n.d.t.]. E l’immigrante, fra le altre cose, ha sviluppato la mistica del lavoro. E la mistica del lavoro è intimamente legata alla repressione sessuale, principale responsabile della scarsa produttività culturale che la città ha dimostrato […]. La mistica immigrante del lavoro è una mistica contro il piacere, contro il corpo, una mistica di tipo puritano, calvinista, che reprime il piacere per canalizzare le energie tutte dell’individuo verso il lavoro materiale. [Essa] inizia con l’esaltazione della sublimità del lavoro. E termina con la negazione e la repressione della vita sensoriale, del ludico, dell’erotico. Non avere invidia di me, lavora come me. Qui si lavora. Il lavoro nobilita l’uomo. Lavorando ci si guadagna il cielo. Mille bocche proclamano, ad alta voce, la santità, l’eccellenza, la meraviglia del lavoro.”;
(3) Gioco di parole fra “servir” (“servire”, più inteso come “essere al servizio”) e “prestar” (“essere utile”, l’italiano “prestarsi a”).
Contronarciso
in me
vedo l’altro
e altro
e l’altro
infine decine
treni che vanno
vagoni pieni di gente
centinaia
l’altro
che è in me
sei tu
tu
e tu
così come
io sono in te
sono in lui
in noi
e solo quando
siamo in noi
siamo in pace
anche fossimo soli